NON BUTTIAMOCI GIÙ Nick Hornby

NON BUTTIAMOCI GIÙ, di Nick Hornby (Guanda)

“Ogni volta ti tocca indovinare se una cosa è pesante o leggera, specialmente quelle dentro di te, e indovini sbagliato, e così allontani gli altri. Non ne posso piu”

“Noi siamo quello che ci e’ successo”

“Nell’articolo che ho letto c’era un’altra cosa: un’intervista a un uomo che era sopravvissuto dopo essersi buttato dal Golden Gate Bridge, a San Francisco. Dichiarava che due secondi dopo il salto si e’ reso conto che nella sua vita non c’era niente che non potesse mettere a posto, nessun problema che non potesse risolvere – a parte quello che aveva appena creato, cioè essersi buttato giù da un ponte”

Questo libro era in libreria da molto tempo, mi era stato consigliato da diverse persone.

Il titolo è accattivante: mi ricorda molto una vignetta dei Peanuts, in cui Charlie Brown va da Lucy alla sua baracchetta “The doctor is IN” e le confida che e’ depresso. Lei le risponde seraficamente di cercare di uscirne, e conclude chiedendogli 5 cents per il consiglio. Una cosa così. Allego la foto della vignetta.

Trovo inoltre che il titolo sia stato ben studiato: il “non buttarsi giù” è inteso infatti sia in senso materiale che metaforico.

La trama in brevissimo: una notte di Capodanno, 4 perfetti sconosciuti -Martin-Maureen, Jess e JJ- si ritrovano sul tetto della cosiddetta “Casa dei Suicidi” appunto per “buttarsi giù”, per suicidarsi. Quattro sconosciuti, quattro persone molto diverse, ma tutte e quattro simili per quest’unica grande immensa cosa: il fatto di sentirsi finiti, esausti, infangati, senza la percezione di sé come individui degni, senza rispetto per sé, con la certezza di non essere amati compresi accolti, con la certezza di vivere una vita di inferno, inutile e senza senso. Volenti o nolenti questi quattro personaggi sono uniti da un sottile (ma alla fine, mica tanto sottile) filo: quello di voler farla finita.

Poi accade che alla fine nessuno dei quattro si butta, e si danno tempo ancora fino a San Valentino. Cosa succederà in quelle 6 settimane? Conosceremo così un po’ di più Martin, Jess, Maureen e JJ e, in contemporanea, conosceremo un po’ più noi stessi -perché chi di noi non ha avuto almeno un momento buio nella sua vita?- almeno questa penso sia stata l’idea dell’Autore.

Detto questo, ammetto che il libro non mi ha entusiasmato. Trovo sia sempre molto difficile affrontare argomenti come la depressione, l’insoddisfazione di sé stessi, la sensazione profonda di sfiducia e disistima e di impossibilità a vivere una vita piena e felice … Hornby ci ha provato, ma a parere mio -che quindi e’ personalissimo- non ci è riuscito. È riuscito solo a caricaturare troppo i personaggi e troppe situazioni. Ha alternato momenti di leggerezza con momenti certo più riflessivi (non mancano certo le citazioni da sottolineare) ma tutto sommato -passatemi il termine- abbastanza ovvi e banali, e lo dico da persona che purtroppo ha toccato con mano questi momenti-abisso che ti risucchiano in un vortice e ti spingono a guardare in giù e a pensare “beh, effettivamente potrei buttarmi”.

Insomma, il libro è stato per me abbastanza inconsistente: se voleva far ridere, credo che Hornby abbia scelto l’argomento sbagliato; se voleva parlare di un argomento tosto facendo ridere, credo l’abbia fatto in modo un po’ troppo superficiale; se voleva essere appositamente superficiale, ho sbagliato io a non capirlo prima e a non fermarmi appena possibile. In quest’ultimo caso: mea culpa.

Insomma, io e Hornby in questa occasione non ci siamo intesi affatto. Mi hanno detto tuttavia di provare con “Alta fedeltà”. Vedremo… al momento non ne sento il desiderio.

Recensione di Benedetta Iussig

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