CHIMERE J. Bernlef

CHIMERE,  di J. Bernlef (Fazi – novembre 2024)

Inizio soft, piccole cose giornaliere, abitudini quasi maniacali di una vita intera.

Comincia cosi questo piccolo capolavoro dolce e intimista. La vita di due coniugi, Maarten e Vera olandesi trapiantati da decenni negli Stati Uniti, ma subito, già dalle prime righe si presenta “l’ospite inatteso”, il morbo di Alzheimer, che stravolge abitudini, percezioni e vita.

” A volte succede che i ricordi sfuggano per un po’, come le parole, ma finché si è in vita non possono sparire del tutto, no? In fin dei conti cosa sono, i ricordi? Somigliano ai sogni. Si possono raccontare, ma cosa siano davvero, se siano reali o meno, questo non si sa, non lo sa nessuno.”

Ho letto altri libri su questa terribile malattia ma in genere sono presentati dal punto di vista di chi vede svanire un proprio caro e non si rassegna a questa perdita non fisica ma intellettuale che spesso e anche più dolorosa.

Questa storia invece è narrata in prima persona: è Maarten che piano piano si accorge di perdere se stesso e deve fare i conti con persone che non riconosce, con oggetti che scompaiono, con giornate di cui non sa riconoscere le ore e i momenti.

Il decorso della malattia e’ repentino; dice Vera, la moglie, di non aver avuto il tempo di abituarsi; da un giorno all’altro la situazione precipita: un giorno Maarten si stupisce di non vedere dalla finestra i bambini che vanno a scuola alla solita ora, ma e’ domenica e lui non ne e’ consapevole e da qui inizia una veloce discesa che lo porta a vivere tra persone ormai scomparse, ricordi sbiaditi di gioventù ed oggetti diventati nemici.

Colpisce la delicatezza e dolcezza di questo uomo sperduto in un mondo che non riesce a capire in cui sulle figure dei figli, ormai lontani e dei genitori ormai morti resta salda quella di una piccola e fragile donna: “Sono quasi cinquant’anni che dormiamo vicini così. Uno stenta a concepire cosa significhi. La sensazione di essere due vasi comunicanti. I suoi stati d’animo, i suoi pensieri: riesco quasi a leggerglieli in volto.”

Lo stile della narrazione segue in maniera puntuale il progredire della malattia : inizia con descrizioni ben argomentate, racconti che seguono un filo logico semplici da comprendere, (” Era un viaggio gentile in un mondo gentile”), poi, man mano, riflette lo stordimento e il senso di estraneità, i periodi diventano brevi, spesso incongruenti, si fatica, come il narratore, a distinguere il reale dal fantastico.

Quasi come una discesa all’inferno il libro accentua una progressione veloce del dolore e della perdita del proprio io.

Doloroso da leggere e faticoso da assimilare ma ne vale la pena

Recensione di Teresa Chi

L’isola dei tesori, dove gli animali sono preziosi

Commenta per primo

Commenti

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.