

Recensione 1
Maurizio De Giovanni torna con “Il pappagallo muto”, un nuovo capitolo della serie che ha come protagonista Sara Morozzi, l’ex agente dei Servizi che, con la sua intelligenza affilata e il suo profondo senso di giustizia, continua a catturare l’attenzione dei lettori. In questo romanzo, al suo fianco ritroviamo Andrea Catapano, compagno di indagini e figura chiave nelle storie precedenti.
De Giovanni ci ha ormai abituati a un thriller che non è mai solo un’indagine, ma un viaggio nelle emozioni e nei segreti dei suoi personaggi. Sara, con il suo passato doloroso e la sua capacità di osservare le persone oltre le apparenze, è un personaggio che ha conquistato una nicchia speciale nella letteratura noir italiana. Dai precedenti romanzi che la vedono protagonista, come Sara al tramonto, Le parole di Sara e Gli occhi di Sara, la sua evoluzione è stata costante e profondamente umana, rendendola uno dei volti più complessi e affascinanti della narrativa contemporanea.
Ne “Il pappagallo muto”, la scrittura incisiva di De Giovanni e il suo talento nel tratteggiare atmosfere sospese tra malinconia e tensione si confermano ancora una volta. Andrea Catapano, la cui presenza è sempre più determinante nelle vicende di Sara, porta con sé la sua razionalità e il suo metodo, bilanciando la componente intuitiva e emotiva della protagonista. Il loro rapporto, fatto di comprensione silenziosa e affinità costruita nel tempo, si rivela uno degli aspetti più riusciti del romanzo.
Ancora una volta, l’autore non delude le aspettative, mantenendo quella profondità narrativa che lo ha reso celebre e regalando ai lettori una storia che non è solo un mistero da risolvere, ma anche una riflessione sulla solitudine, sulla memoria e sulla forza delle relazioni umane.
Un nuovo tassello che conferma la grandezza di De Giovanni nel panorama del thriller italiano.
Recensione di Paolo Pizzimenti
Recensione 2
“Cherchez la femme”.
Perché dietro ogni crimine, ogni colpa, ogni misfatto c’è la donna. Una donna.
Questo il significato di un’espressione utilizzata per la prima volta da Alexandre Dumas, padre, nel 1854 in “I Mohicani di Parigi” e poi ripresa da diversi autori, nel corso del tempo, allo scopo proprio di indicare che quando si cerca la causa di un problema o più ancora il movente di un omicidio bisogna cercare la donna. Una volta trovata, si avrà una spiegazione di tutto, si capirà perché ha agito l’assassino.
Ma io ne propongo un significato diverso.
“Cercate la donna”, cercate Sara Morozzi. Cercatela con gli occhi di de Giovanni, del suo autore. Perché in questa storia, di cui non racconterò la trama se non attraverso alcuni espedienti, probabilmente più che in ogni altra, Maurizio de Giovanni si pone dalla parte degli invisibili e delle donne, per l’appunto. L’autore racconta le donne.
Le donne. Nei loro corpi che a volte si muovono incerti. Che a volte avanzano come carri armati. Le donne. Pronte a sacrificarli quei corpi. E come carri armati davanti a un uomo disarmato, inerme, fermarsi.
“Sara” è sicuramente una serie nera. Ma non è solo questo. È una storia di amicizie, di relazioni, d’amore, una storia che racconta una società, un Paese. Ma soprattutto è una storia al femminile. Una letteratura che non appartiene solo al noir, alla crime fiction, una letteratura che quasi non ha “genere”. Perché abbraccia tante cose.
In una società che assegna ancora oggi alle donne una posizione subordinata rispetto all’uomo e una precisa funzione sociale, quella di donna devota, moglie obbediente e madre, dunque, con il compito della riproduzione e della cura, de Giovanni descrive un personaggio femminile totalmente diverso. Il suo è il racconto dell’emancipazione di una donna che passa attraverso il coraggio e le fragilità, le scelte e le rinunce, dolorose, talvolta, dolorosissime. Sara non è un’eroina. E non è una femminista. Ha semplicemente scelto. Scelto come vivere. Senza condizionamenti. E per questo Sara non è un personaggio prevedibile. Come non può esserlo chi esce fuori da un dolore così grande come quello che ha vissuto lei. Il dolore della perdita. Di una doppia perdita. L’amore della sua vita e il figlio. Il coraggio e la fragilità, per l’appunto. Sara ha perso tutto.
E noi l’abbiamo conosciuta, esattamente così, attraverso un autore maschile. Insomma, un uomo che scrive di donne. Che si pone dalla loro parte, dalla parte degli assenti, degli invisibili, cercando di capire come ci si sente a non avere voce. Come ci si sente a essere invisibili.
Bisogna avere coraggio nella letteratura. Il coraggio di scrivere certe cose. Il coraggio di scegliere il modo.
E lui, de Giovanni mostra tutto il suo coraggio dando una voce a “Mora”. Una voce tutta sua. Una voce “oltre”.
“Per disegnare un uomo sono sufficienti otto pastelli, per le donne ce ne vogliono 64, e la maggior parte hanno colori che noi uomini non conosciamo”.
Sara con tutte le sue insicurezze, le vulnerabilità tipiche di ogni donna che sceglie la via più difficile, il percorso con maggiori ostacoli.
Sara con una insolita bellezza. È forse una musa? E che musa è?
Una musa dei tempi moderni incapace di mettere in versi e musica le storie che vive.
Le vive e basta. Con tutta la forza che ha. Una musa che ha vissuto freneticamente, attaccata all’amore come solo l’ossessione femminile sa fare. Ma che poi travolta dal dolore, per la perdita, si è fermata.
Una musa che ha imparato a soffrire e a sopravvivere al dolore.
Sara e la banalità dell’amore.
Nessuno ti ha detto ancora che sei pazza? Come tutte le donne visionarie. E tu sei così. Sei una visionaria. Dunque, sei una pazza, Sara.
Forse è per questo che la vita ti ha teso una trappola. Una rappresaglia. O più ancora, una vendetta. Una punizione.
Perché Sara è una “donna autentica”. Che è andata in guerra con il destino. E che è diventata invisibile per nascondere le ferite. Per non mostrarle agli altri. Come quando da piccoli si giocava a nascondino e non avendo trovato un giusto riparo si chiudevano gli occhi nell’ingenua convinzione che non vedere significasse anche non essere visti. Eppure “io ti vedo”, Sara!
Sara non ha mai mostrato compassione. Per nessuno. Neppure per sé. Cosa è cambiato adesso, Sara?
Da dove nasce tanta tenerezza, per Viola e il piccolo Massimiliano, per Andrea, per Davide? Da dove nasce quello sguardo malinconico per Nico?
Nei sei romanzi precedenti e nel racconto che ha aperto la serie, abbiamo conosciuto i fantasmi di Sara. Ma anche quelli di Teresa, Viola e Pardo. Quelli di Andrea. Li abbiamo conosciuti, quei fantasmi, come le conseguenze dell’amore. Abbiamo conosciuto le loro infinite solitudini. E con esse le ossessioni partorite con dolore da ciò che si è perduto. Ma nel tempo i cinque sono diventati una “famiglia”. “Una specie di strana famiglia”. Ognuno col suo ruolo “al di là del sangue”. Parte di una famiglia che ciascuno di loro si è scelto. Una famiglia “d’anima”, una famiglia d’amore, così come l’avrebbe chiamata Michela Murgia.
In quel privilegiato campo di osservazione e d’indagine che è la società, Maurizio de Giovanni ci coinvolge in questa nuova storia che ha come titolo un ossimoro: “Il pappagallo muto. Una storia di Sara”. Settimo romanzo della serie. Per Rizzoli.
Incontriamo qui una nuova “solitudine”. Quella di un “pappagallo” silenzioso e solitario. Già un pappagallo che non parla, non fa ridere, neanche un po’. E che, nel suo silenzio, muove ogni trama. Come l’acqua cheta, che si dice sia profonda, impercettibile e distruttiva.
“Ci fosse stato il sole …”. si chiudeva così “Sorelle. Una storia di Sara”.
“Un raggio di sole si faceva strada attraverso il finestrone reso opaco dalla polvere”. Così si apre “Il pappagallo muto”.
In questo nuovo romanzo, de Giovanni ci restituisce l’immagine di personaggi sempre più complessi, e fuori dagli schemi. Che si ritrovano spesso in un dialogo a due che rende ancora più intimo il loro legame.
È un ritratto feroce, il suo, che porta “addosso” i segni del tempo. Lo spietato e inevitabile, drammaticamente inevitabile, passare del tempo. Come ne “Il ritratto di Dorian Gray”. Sembra di poter osservare, come fossero vere e proprie forme visive, le metamorfosi dei personaggi, dei loro volti, “il ritratto come il più magico degli specchi”, che rivela il corpo e che rivela l’anima.
Eccolo, dunque. Quando si dice: “l’ho letto tutto d’un fiato”. Ritmo narrativo serrato, incalzante e avvincente. Non sono concesse soste, né freni. Nessuna pausa. Non se le prende lo scrittore. Non sono concesse al lettore. Le uniche pause sono quelle che si prende il cuore, ogni tanto, resta come sospeso, come dice lui: “il cuore salta un battito”.
Con uno stile diverso che avvicina il suo noir, al thriller americano. Dove realtà e immaginazione talvolta si fondono e le emozioni, appartengono all’una o all’altra?
Paure, ossessioni, corruzione, segreti. Intrighi politici. Suspence.
Ti abbiamo conosciuta così Sara, con gli occhi fissi sulla preda, come prima di sbranarla. Ma adesso sei tu la preda, Sara.
E Teresa? Dov’è? Teresa come la Pantera di Rilke con lo sguardo che dopo aver visto per così tanto tempo solo attraverso le sbarre, è talmente stanco da non vedere nient’altro. Nient’altro che le sbarre.
Sara e Teresa, Mora e Bionda, le “fanciulle”, così diverse eppure così vicine. Come nell’armonia degli opposti, dei contrari. Sorelle per scelta e non di “sangue”. La loro, a tutti gli effetti, un’affinità elettiva.
Sara e Teresa sono ancora complici? Sembra proprio di no. Nel nuovo romanzo si muovono in un conflitto silenzioso. Dove si insinua Bianco, la nuova leva, con i capelli rossi disordinati e il suo taccuino “da liceale”. Bianco e il “suo” Principe. Ma non è un principe azzurro.
“Il silenzio, dicevo. A te sembra che non si senta niente, io invece sento tutto”.
Non mentire, pertanto, Teresa. Non mentire. Sorella, mia nemica.
Ma loro due, si sa, “sono tempesta”. E la tempesta è fatta di un vortice, di un abbraccio.
E prosegue il “gioco” letterario di de Giovanni che rende invisibili i vivi e lascia la visibilità ai morti. Massimiliano è morto eppure è un uomo visibile come visibili sono i suoi pensieri. Questa volta Massimiliano “dialoga” con Andrea. Ancora un dialogo che si fa spazio nel silenzio. Andrea e Massimiliano. “L’uomo seduto” e “l’uomo in piedi”. Massimiliano, alla ricerca di un amore perduto. Andrea di un amore mai esistito. Di un amore.
E adesso lo hai capito anche tu, Andrea, cosa significa perdere il tempo. Togliere il suono alle parole e lasciarne solo il rumore. Come un’eco. Come un’eco che risuona nel vuoto. L’eco delle cose. Che non hai avuto. Che mai ti sono appartenute. Solo perché ci hai rinunciato. Che non hai sognato abbastanza. Da sentirne la mancanza, al risveglio. Al risveglio. Che non hai desiderato abbastanza. Da rubarle, al tempo.
Scambia di posto, di ruolo, de Giovanni. Questa è una città di pazzi dove “i vivi sembrano già morti, i morti pensano di essere vivi”.
Tutto ebbe inizio così, vent’anni fa, con “I vivi e i morti”.
E Napoli? Napoli non è più la sola sede logistica dell’Unità. Napoli è il centro. Il centro di interessi e relazioni internazionali. Relazioni oscure. Napoli e il suo porto. Napoli e la sua campagna così rurale, contadina. Napoli e i suoi segreti. Cosa nasconde? Chi protegge? Napoli che si propone in uno scenario geopolitico inquietante. Napoli come una carezza “che fa tanto rumore … Il rumore del futuro e la risonanza del passato”. Napoli. “Il rumore di una carezza …più forte di un uragano … il rumore di tutto quello che accadrà”.
Come in “Un’altra donna” di Woody Allen, in cui la protagonista “prova quello strano miscuglio di malinconia e di speranza” che la placa da ogni inquietudine, e si chiede “se un ricordo è qualcosa che hai o qualcosa che hai perduto”, così Sara, Teresa, Viola, Pardo e Andrea vivono nella domanda che ritorna ossessiva: perché non smetto di ricordare?
Questa nuova storia di Sara si muove sulle note di due canzoni. “Vento di passione” di Pino Daniele e Giorgia e “Andrea” di Fabrizio De Andrè.
“Il ricordo di un amore/Viaggia nella testa/E non c’è una ragione/Quando cerchiamo quel che resta/Come un vento di passione/O una rosa rossa/Il ricordo di un amore/Ci cambia e non ci lascia …/È in una lettera d’amore/È nel canto del mare/Ma il ricordo di un amore/Ci parla e non ci passa …”
“Andrea si è perso, si è perso e non sa tornare/Andrea si è perso, si è perso e non sa tornare/Andrea aveva un amore: riccioli neri/Andrea aveva, aveva un dolore: riccioli neri … E Andrea l’ha perso, ha perso l’amore, la perla più rara/ E Andrea ha in bocca, ha in bocca un dolore, la perla più scura …”
Chissà se tornerà ad amare Sara? Adesso che la sua vita ha bisogno più che mai dell’abbraccio di un uomo, “e sembra che dal suo volto esca uno spirito dolce ricolmo d’amore che va dicendo: sospira”.
Sospira, Sara.
Chissà. Chissà se gli occhi di ognuno dei personaggi si ritroveranno presto negli occhi di qualcun altro.
E se è vero come sostiene Oscar Wilde che “pensiero e parola sono gli strumenti dell’artista” e che “l’artista è il creatore di cose belle”, allora leggetela questa storia fatta di pensieri e parole, fatta di cose belle. Perché è un privilegio leggere cose belle.
Vi avverto però che qui non c’è la nebbia di Scerbanenco a proteggere, fin quasi a nascondere le donne di Milano e le loro inquietudini.
Qui c’è Napoli. La Napoli di de Giovanni. E un sole che, dopo tanta pioggia, una pioggia che sembrava non finire mai, adesso asciuga i corpi e scalda il cuore. E dove sembra che Sara, Teresa e Viola dicano: “Il mio crimine, il mio crimine è l’amore”.
Sara si voltò a guardare al di là della strada verso una finestra illuminata ed ebbe come un déjà-vu.
“Al di là della strada un uomo con l’anima in tempesta sentiva più che mai la propria solitudine, e contemplava i vivi e i morti”.
Recensione di Giuseppina Guida
LA STORIA DI SARA MOROZZI Maurizio de Giovanni
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