LA ZONA D’INTERESSE, di Martin Amis (Einaudi)
Bisogna attendere la fine del romanzo, bisogna giungere ad una illuminante e puntuale postfazione per imbattersi finalmente in quelle due tremende, odiose parole. Adolf Hitler.
Non accade mai prima, nelle circa trecento pagine di questa assurda storia d’amore. Una commedia amorosa, a due passi dalla scritta “Arbeit macht frei”. Una farsa grottesca e disperata, proprio in quel non-luogo, simbolo per eccellenza della negazione di ogni possibile umanità, definito “anus mundi” dagli stessi custodi che vi prestano servizio.
Quali le ragioni, se di ragione si può parlare, di tanta oscena follia? Perché?
“Warum?” («Perché?») , domanda Primo Levi alla guardia che gli ha appena strappato di mano un prezioso pezzo di ghiaccio, trovato con improvviso stupore. “Hier ist kein Warum”. («Qui non c’è perché»).
«Come ha potuto un sonnolento paese di poeti e sognatori, e la più colta e raffinata nazione che il mondo avesse mai visto, come ha potuto piegarsi a una tale, sfrenata, spropositata ignominia? Cos’ha fatto sì che il suo popolo, uomini e donne, acconsentisse a farsi stuprare l’anima – e a farsela stuprare da un eunuco? […] Da dove è scaturito, il bisogno di un’esplorazione del bestiale tanto metodica, pedante, letterale?» si chiede una delle voci di questo racconto polifonico.
Tra i blocchi del Konzentrationslager, i suoi camini e il suo filo spinato, si alternano le tre voci narranti di questa storia nella Storia. In sottofondo, le urla provenenti dai cortili, lo sferragliare del treno, giunto al capolinea di un ennesimo viaggio di sola andata («Nessuno è mai tronato indietro» , ammettono rassegnati gli stessi passeggeri).
L’aria è irrespirabile, all’interno del Kat Zet, la zona d’interesse, per via dell’incessante attività dei forni, per l’odore di benzina utilizzata per i roghi, per il soffio infernale, luciferino, di un vento di odio e di violenza, che puzza di zolfo e di sangue.
«A differenza di altre religioni monoteiste, l’ebraismo non sostiene che il Diavolo assume sembianze umane. Siamo tutti mortali, ma questa è un’altra dottrina della quale inizio a dubitare. Il tedesco non è soprannaturale, ma non è nemmeno umano. Non è il Diavolo. È la Morte»
“La zona d’interesse” è una esplorazione delle tenebre («La tenebra è una signora germanica») , che contiene dentro di sé una permanente aria di paura e di morte, che racconta una brama famelica di paura e di morte, che lascia dietro di sé una scia indelebile di paura e di morte.
La morte dell’anima, ancor più della morte comunemente intesa.
Un racconto sorretto da una architettura geniale e visionaria: una lingua pirotecnica, graffiante, ironica, indefinibile, inafferrabile, inimitabile, ineguagliabile.
Martin Amis
“La zona d’interesse”
Einaudi.
Recensione di Valerio Scarcia
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