L’OTTAVA VITA Nino Haratischwili

L’OTTAVA VITA, di Nino Haratischwili

Traduzione dal tedesco di Giovanna Agabio
Titolo originale Das achte Leben (Für Brilka)
Frankfurter Verlangstalt GmbH, 2014
Marsilio Editori, giugno 2020

«Quando non è la tua lingua, scrivere è divertente, sperimentale.» Dice in un’intervista Nino Haratischwili, scrittrice originaria della Georgia, residente a Berlino. Parlare in tedesco del suo paese, le consente un distacco, quel “non sono io” necessario alla fantasia per intrecciare trame. Questo libro nasce dal bisogno dell’autrice di indagare il suo passato, la sua storia, quella del suo paese natale. Vivendo in Germania, si accorge all’improvviso di conoscere meglio la storia dell’Occidente rispetto a quella sovietica. Così chiede, e la ottiene, una borsa di studio per approfondimenti storici dei Paesi dell’Est. Si organizza e parte in viaggio. Si muove fra la gente, gli archivi, le biblioteche e le strade della sua infanzia. “L’ottava vita” non è un romanzo autobiografico: è una saga familiare che dura un secolo, che parte dal presente e si tuffa nel passato, nel tentativo di afferrare la propria vita che sembra sfaldarsi tutta.

Siamo negli anni ’90, è la post perestroika, un periodo di grandi conflitti, caos politico ed economico. «Per capire l’epoca incerta, bisognava tornare indietro. Studiare la storia del Comunismo. Sapevo molte più cose sul Nazional Socialismo che non sul Comunismo e allo stesso tempo i lettori tedeschi si sarebbero sentiti un po’ persi… dovevo indagare la storia. E così sono arrivata alla Rivoluzione di Ottobre e mi dicevo, cosa ci faccio qui? E poi ero un po’ come Alice nel Paese delle Meraviglie, scoprivo cose nuove.» Le grandi storie attraverso le vite private, le biografie della gente normale. Diversamente, le cifre rimangono anonime per quanto agghiaccianti. Attraverso l’esperienza individuale acquistano autenticità. Le vite umane si connotano di desiderio di cambiamento, di lotta, sesso, bellezza.

Ci voleva una metafora. Sensuale. La cioccolata. Con una ricetta segreta di famiglia. Attraverso la cioccolata, si parla anche di chi la storia l’ha fatta, senza mai nominare nessuno o solo con soprannomi, fino alla fine dove un aneddoto permette di svelare le identità, ormai acquisite dal lettore. La dolcezza, la bontà, ecco che si trasformano in maledizione. «Devo queste righe a un secolo che ha ingannato e raggirato tutti, tutti quelli che speravano. Devo queste righe a un tradimento di lunga durata, che ha pesato sulla mia famiglia come una maledizione.» (p.19) Dire, raccontare i fatti, senza giudicare, semmai con l’unico desiderio di capire. Odio, destino. Stupri e violenze. Torture.

Oggi in Occidente, crediamo di essere artefici del nostro destino. Pensiamo di poter cambiare la nostra vita con la nostra mente. Non era così in Georgia. Era un periodo che non si poteva cambiare niente. Ce lo racconta Niza, una donna che all’incirca ha la stessa età dell’autrice, pur non essendo lei, puntualizza Nino Haratischwili. «Per certi aspetti ci assomigliamo, ma non sono lei. Ho cercato di far sparire la mia voce dietro la sua; alle volte l’ho odiata e di sicuro non so giocare a poker. Ma per età e periodo storico, è sicuramente la figura femminile nella quale mi rivedo di più.» Niza registra le stesse cose capitate nella famiglia dell’autrice. La paura di uscire in strada, i conflitti, le manifestazioni, il clima di terrore ereditato dal recente passato, lo stato caotico del governo.

Si apre così, il libro, in forma epistolare: una lunghissima lettera che annovera più di mille pagine. La destinataria è una bambina di dodici anni, la nipote, Brilka. La protagonista spera così di capovolgere la maledizione e di aiutare la storia a prendere altre forme: «E anche se non te l’ho mai detto: ti aiuterei così volentieri Brilka a scrivere la tua storia in modo diverso e nuovo. E per non limitarmi a dirlo, a dimostrarlo, scrivo tutto questo. Solo per questo motivo» (p.19) Le forme sono aperte, apertissime: hanno la configurazione dell’infinito: «l’ottava vita. Perché si dice che il numero otto equivalga all’eternità. Al fiume che ritorna.» (p.20) Il numero otto è anche il numero dei capitoli del libro. Ognuno dei quali corrisponde a un nome, una vita. Elenchiamo i nomi: Stasia, Christine, Kostja, Kitty, Elene, Daria, Niza e Brilka. Stasia è la madre di Kostja e di Kitty, Christine è sua sorella, Elene è la figlia di Kostja, Daria e Niza sono le figlie di Elene e Brilka è la figlia di Daria. Per ogni nome ci sono centinaia di pagine ricoperte di segni neri: parole, frasi, storia, leggenda. Per Brilka ci sono solo pagine bianche, vuote, senza segni. Un capitolo tutto da scrivere.

Un futuro da inventare. Che sappia intrecciare i fili dell’esistenza come il tappeto di Stasia: «Un tappeto è una storia. In quella storia si nascondono innumerevoli altre storie. […] Sono singoli fili. E anche ogni singolo filo è a sua volta una storia. […] I tappetti sono intessuti di storie. Quindi bisogna conservarli e averne cura.» (p.32-33) L’amore per le cose vecchie, la cura per gli oggetti di famiglia nascono da un senso di appartenenza che si specchia nel suo opposto e che richiama la libertà. Come un otto. Come i nomi delle due sorelle: «Mi chiamo Niza. Il mio nome contiene una parola che nella nostra lingua significa cielo. […] Mia sorella si chiamava Daria. Il suo nome contiene la parola caos. Aria. Scompigliare e rivoltare, mettere in disordine e non rimettere più in ordine. Le sono obbligata.

Sono obbligata al suo caos. Sono sempre stata obbligata a cercare il mio cielo nel suo caos.» (p.19) Così siamo, mai finiti (come il cielo) e mai in ordine (come il caos). Non ci sono ricette per scrivere la nostra vita: ma ogni famiglia ha un suo segreto, una sua leggenda, un suo groviglio di fili che inesorabilmente s’intrecciano con altri fili, quelli della storia, della vita, delle nostre aspirazioni e del nostro futuro. «Ancora pochi istanti e ci ritroveremo.» (p.1129) Dove? E chi lo sa? Nella storia, nella leggenda, nell’infinito? Aspettiamo il racconto di Brilka per scoprirlo. O il nostro. E nella lingua che vogliamo. Che sappiamo. O che inventiamo.

Recensione di IO LEGGO DI TUTTO, DAPPERTUTTO E SEMPRE. E TU? di Sylvia Zanotto  

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