PREMIO VIAREGGIO 1984: TOSCA DEI GATTI Gina Lagorio 

PREMIO VIAREGGIO 1984: TOSCA DEI GATTI, di Gina Lagorio

Gina Lagorio con questo romanzo ci parla di solitudine, ma non di quella cercata, voluta, financo agognata. Quella di Tosca è una solitudine riempita soprattutto di gatti, con i quali costruisce rapporti che non ha con gli esseri umani, tranne qualche sporadica chiacchierata con qualcheduno, in un paese sul mare, che così come d’estate si riempie dei colori e di parentesi di vitalità, d’inverno si spopola e rabbuia. A Tosca poco importa dell’estate, dell’inverno, della primavera e anche dell’autunno. I suoi anni più leggeri li ha trascorsi e poi ha un’asma che la tortura. Le rimangono la bottiglia e queste famigliole di felini che nutre e osserva nelle loro dinamiche istintuali quasi fossero umani.

È articolato il fraseggio della Lagorio, le numerose subordinate sono come binari che pare ti conducano verso sentieri previsti, poi ti accorgi che i soggetti o i complementi oggetto non sono quelli che credevi. Finisci per confondere, almeno nelle prime pagine, i gatti con gli umani.

Di chi parla? Mi sono chiesta, cercando più volte di accomodarmi al suo stile.

Sono atmosfere molli, letargiche, fatte di piccole, ma tutto sommato godute soddisfazioni. Quella mozzarella con pomodori e un filo d’olio è un piacere che riempie la serata di Tosca, così come un bicchiere di vino e poi due, tre, quattro le rendono meno angosciosi i pensieri.

La nascita e perciò la gioia del rinnovamento sono i piccoli gattini che le sue gatte partoriscono, creando una vera e propria colonia da nutrire e vedere crescere, i caratteri dei felini assimilati alle persone che conosce o ha conosciuto.

Ad un certo punto il romanzo si sposta sulla relazione fra Toni’ e Gigi, anche loro in vacanza nello stesso stabile in cui vive Tosca.

Gigi’ è un divorziato, fa il giornalista ed è uno che vorrebbe fare lo scrittore. Si è messo in testa di studiare Tosca per farne un romanzo, cosa di cui si pentirà sentendosi un vile guardone. Invitano Tosca a passare con loro delle serate in compagnia, ma Gigi è uno spettatore del suo soggetto preferito.

È combattuto fra il desiderio di essere scrittore e la convinzione che a nessuno importi ciò che scrive. Poi rimugina e, come nelle più banali strategie di copyng che vogliono a tutti i costi trovare un valido motivo che giustifichi i sogni o le delusioni che si hanno nell’animo, si convince che, in fondo, perché non dovrebbero apprezzarlo dal momento che chi legge apprezza tanti altri?

Nel rapporto con la nuova compagna è attento a ciò che ogni donna non vorrebbe si facesse. Infatti toglie ogni cosa che potrebbe infastidirla ricordandole la passata relazione, ma Toni ‘ non pare farci caso: lei, il suo rapporto con il passato, lo condensa in un paio di pantofole che si porta dietro ovunque, come una coperta di Linus, ma anche come filo ininterrotto fra un prima dove Gigi non c’era e un ora dove Gigi c’è.

Come se quella estate si nutrisse delle sue precedenti primavere, Tosca rivive e aggiusta nel suo presente autunno della vita ciò che l’ha cambiata per sempre.

Sente, verso il finale del romanzo, di essere viva nonostante tutto e accoglie il suo presente nell’accettazione della quotidianità, con i suoi gatti che sono serviti e servono da uscita di sicurezza, il rumore di ciò che le si muove attorno, l’amicizia con Gigi e Toni’ e l’indifferenza degli altri che come lei si avviano a concludere quell’estate, a suo modo speciale.

Altre primavere vibrano attorno a Tosca: si muovono giovani uomini (Matteo e Enrico) e la solita prima donna che rapisce, concupisce, lascia e torna a suo piacimento, indifferente ai sentimenti altrui (Lavinia).

Molto bello, con tanti spunti utili a fare riflettere.

Recensione di Ivana Merlo

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