DUE LIBRI A CONFRONTO: UTRUM, di Matteo Nerbi – CENT’ANNI DI SOLITUDINE, di Garbiel Garcia Marquez
Che cosa lega un romanzo stipite della letteratura contemporanea, come “Cent’anni di solitudine” di Garbiel Garcia Marquez, ad un piccolo nuovo libro “di periferia” come “Utrum e altri racconti di Voce Narrante” di Matteo Nerbi, edito da GFE Edizioni?
Fugando subito il dubbio che non è possibile alcun tipo di paragone e confronto, per ovvie ragioni, e che sarebbe anche un sacrilegio solamente ipotizzarlo, per farvi comprendere quale sia il sottile filo di lana che mette i due libri in correlazione si può brevemente citare (non me ne voglia l’autore) qualche riga del primo racconto di Voce Narrante, dei quattro che compongono la raccolta, e titolato “Il fantastico mondo di Zic”.
In sostanza, si può dire che attraverso l’espediente della citazione letteraria, l’autore invochi uno degli elementi che compongono la cifra stilistica del romanzo di Marquez, facendone a sua volta un espresso utilizzo, ma con l’altrettanto espressa volontà di utilizzarlo soltanto come un “punto di partenza per andare in direzioni differenti”.
Infatti, l’alterazione dello spazio tempo ne “Il fantastico mondo di Zic” (ma anche in altri racconti della raccolta) assume una connotazione completamente differente, e vale a sottolineare come esista una misura del “tempo emotivo”, diverso dall’incidere cronologico degli eventi, scanditi dallo scorrere del tempo proprio della realtà concreta.
Tutti i racconti di “Utrum”, nella loro ricerca di una dimensione introspettiva, valgono a sottolineare come le emozioni, e la condizione emotiva del soggetto che le esprime (o che le patisce), vive in una dimensione del tempo sua propria, che può non coincidere con il perpetuo scorrere di alba e tramonto, suddiviso nelle convenzionali ventiquattro ore che formano la nostra giornata.
Il “tempo emotivo”, nei racconti di “Utrum”, si misura più che altro in fasi, ovvero ad ogni singola fase corrisponde il momento del predominio di una particolare emozione (ad esempio, la “rabbia” o “il senso del disarmante” in “Antrum”, così come lo stato di “Nonstante” ne “Il fantastico mondo di Zic”), che perdura sino al consumarsi della stessa, o meglio sino al suo trasformarsi in una emozione differente, nuova, ma dalla prima derivata, perché, “nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma”.
Si potrebbe concludere affermando che l’autore fa un utilizzo di un “espediente stilistico noto”, citandone la “fonte letteraria”, ma “in chiave nuova e diversa”, come una sorta di elogio generale alla “letteratura”, che spesso siamo abituati in modo fuorviante a suddividerla in “generi”, come se si trattasse di compartimenti stagni, e in “epoche”, come se il passato non facesse parte del presente, e dimenticando così che la “letteratura” prima di tutto è una “storia della letteratura”.
Di Clara Catta
Ho sudato sette camicie, ma l’ho terminato: CENT’ANNI DI SOLITUDINE Gabriel García Márquez
Ho sudato sette camicie, ma l’ho terminato: CENT’ANNI DI SOLITUDINE Gabriel García Márquez
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