IL PASSEGGERO Cormac McCarthy

IL PASSEGGERO, di Cormac McCarthy (Einaudi – maggio 2023)

 

 

 

Recensione 1

Cari lettori del ‘passaparola’, da tempo non ho occasioni di commentare libri perché ultimamente nel nostro blog ho sempre trovato già recensiti i volumi sui quali avrei potuto scrivere qualcosa. Ho sempre evitato di parlare di opere che non mi siano piaciute perché penso che l’interesse degli aderenti al gruppo di Un libro tira l’altro sia quello di ritrovare suggerimenti ‘per’ e non ‘contro’ la lettura. Ma non so nascondere la mia opinione dinanzi ad un’opera le cui contraddizioni mi sono parse tali da farmi (rischiosamente, già lo so!) venire allo scoperto.

 

 

Il penultimo romanzo di Cormak McCarthy, ‘Il passeggero’, è sovente considerato un capolavoro, visto da alcuni come il miglior libro pubblicato nel 2023, nel nostro stesso sito si trovano giudizi che lo ritengono un’opera bellissima. Forte di una tale motivazione e memore di altri celebri testi dello stesso autore, ho affrontato questo romanzo con grande aspettativa e sincera disponibilità.
Ahimè, ho fatto fatica ad andare avanti e a terminarlo, sono rimasto negativamente colpito dalla frammentarietà della sua stesura e dalla mancanza di coesione della sua costruzione letteraria: alcuni suoi capitoli mi sono parsi come l’insieme di racconti slegati tra loro. Come un pittore contemporaneo che sulla tela sparge colori a caso.

Una tale mancanza di organicità ha logorato la mia lettura alla vana ricerca di un qualche unificante filo conduttore. Sono giunto al punto, in certi momenti, di ipotizzare che questa operazione sia l’assemblaggio di brani diversi per un disegno di industria editoriale creato nel nome di questo autore famoso e recentemente scomparso.

 

 

 

Il passeggero del titolo, che nella parte iniziale ci aspettiamo sia un individuo scomparso dall’aereo trovato affondato al largo di New Orleans è, nel corso del testo, lo stesso suo protagonista Bobby Western, la cui errante vicenda umana, che si articola in frammenti di vita vissuta, pare al tempo medesimo il divenire onirico di molteplici stadi psicologici, in un logorroico delirio che sembra voler mostrare un mondo senza speranza. In questo alternarsi di episodi reali e di psicotiche finzioni, intervallati dagli schizofrenici intermezzi di una sorella deceduta, si smarrisce lo stesso lettore alla continua ricerca, vana, di un approdo. Tutto ciò in un profluvio sovente eccessivo di parole insensate e talora condito da un ozioso sfoggio di citazioni tecniche o di riferimenti estranei che nulla aggiungono e, anzi, interrompono senza motivo il filo già di per sé enigmatico della narrazione. Della noiosa narrazione mi sento di dire!

 

 

Per il senso di minacciosa persecuzione e di smarrimento che pervade il romanzo, verrebbe da fare un paragone con Kafka. Per gli scenari stravolti e allucinati si potrebbe pensare ad un Beckett ritrovato. Ma questi raffronti, anziché dare valore, rischiano di svilire ancor più l’opera senile di McCarthy.

Qualcuno ha detto: se lo scatto non lo trovi nel primo paragrafo, non lo trovi più! È ingeneroso un giudizio così drastico? Può darsi e certo ‘Il passeggero’ non è nelle mie corde. Però mi auguro, per l’intento provocatorio che questo mio giudizio contiene, che esso contribuisca a sdoganare un qualche viavai di pareri tra i frequentatori della comunità di Un libro tira l’altro su un’opera che, certo, non passa inosservata.

Recensione di Giovanni Rossi

 

Recensione 2

Il passeggero , come tutte le grandi opere letterarie, non accarezza il lettore, ma lo scuote e lo interroga, invitandolo a compiere un percorso tra le righe, a tratti di indubbia difficoltà, perché disseminato di segni non sempre immediatamente decifrabili.

È un romanzo che non si mastica con disinvoltura, soprattutto a causa dei corsivi che certamente disorientano. Se si superano però i labirinti iniziali, si apre all’orizzonte una grande occasione per il lettore, l’opportunità di calarsi nel mondo dell’inconscio attraverso un uso spiazzante del linguaggio che fonda questo come ogni altro senso possibile, grazie ai vari registri e ai non rari giochi linguistici che la traduttrice rende con grande abilità.

 

 

 

Un libro che attinge agli archetipi del mito, della letteratura: il protagonista Bobby Western compie un viaggio, che si apre come fuga dalla morte e che come tale, però, diventa nostos, viaggio di ritorno e di recupero delle proprie radici familiari attraverso una catabasi nell’inconscio e nella memoria che porterà alla luce conflitti, malattie, amori insani, sofferenze.

Ma cosa comprende Bobby di sé, di sua sorella? E cosa può l’uomo comprendere dei grandi enigmi dell’esistenza umana? È forse in grado, come Edipo, di svelare il mistero della Sfinge? Mc Carthy fa dire a Kid, uno dei suoi emblematici personaggi:

«Sapeva che alla fine è impossibile sapere. Impossibile afferrare il mondo. Puoi solo descriverlo».

 

 

 

E non bastano il linguaggio della matematica e della fisica di cui Alicia e Bobby Western sono rispettivamente esperti, per descriverlo, perché noi umani non siamo solo numeri. Abbiamo bisogno della metafisica, del sogno, della letteratura per custodire o portare alla luce i relitti, tanto quelli che giacciano misteriosamente in fondo all’oceano, quanto quelli incuneati nel nostro passato.

Nell’attesa che venga pubblicato il prequel dell’opera, Stella Maris, la domanda è:

ma siamo “passeggeri” perché solo di passaggio in questo “atomo opaco del male”? O forse perché transitiamo da una dimensione all’altra, dai fondali dell’inconscio, ad esempio, alla terra emersa della consapevolezza?

 

Recensione di Lucia Guglielmi

 

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