GLI INTRAMONTABILI: I FRATELLI KARAMAZOV Fëdor Dostoevskij

GLI INTRAMONTABILI: I FRATELLI KARAMAZOV, di Fëdor Dostoevskij (Einaudi – novembre 2021)

 

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D’accordo, che fosse un capolavoro lo sapevo.

Ero consapevole di imbattermi in uno dei più grandi romanzi di tutti i tempi, anche se al tempo stesso non mi decidevo a iniziarlo. Questo mattone mi guardava torvo dalla scansia in un cui lo avevo riposto, facendomi venire i sensi di colpa per giunta.

Poi, con una decisione tanto repentina quanto indeclinabile, ho afferrato il tomo e ho iniziato a leggere.

Di Dostoevskij avevo letto solo “Delitto e castigo“. Ed è curioso questo fatto perché “Delitto e castigo” lo considero uno dei più bei romanzi che abbia mai letto. E tuttavia non mi decidevo a leggere altro di lui, forse perché spaventato dalla mole dei libri e anche da uno stile inevitabilmente un po’ datato.

 

 

Poi, per non finire dilaniato dai rimorsi di coscienza, ho preso “I fratelli Karamazov” e ho iniziato a leggere.

Ripeto: sapevo fosse un capolavoro. Ma addirittura superiore a “Delitto e castigo”, non lo potevo davvero immaginare.

Anche se è difficile paragonare questi due romanzi. “Delitto e castigo” è interamente incentrato su un unico uomo, Raskolnikov, sui suoi tormenti, dubbi, angosce. Nei “Fratelli Karamazov”, come da titolo, i protagonisti sono tre, anzi quattro. Un’intera famiglia, che addirittura assurge simbolicamente a emblema di una dinastia, divenuta proverbiale al tempo della narrazione per indicare uomini dal temperamento forte, appassionato, sincero, drammatico e melodrammatico.

 

 

Tre fratelli e un padre.

Il padre, Fedor, da cui tutto inizia. Un uomo che lascia un’impronta profonda e profondamente negativa sulla sua famiglia e sui caratteri e le personalità dei suoi ragazzi.

I tre fratelli, Dimitrij, Ivan e Aleksej, diversissimi tra di loro, ma tutti accomunati da un’incredibile sete di verità, di onore e di fede.

Non starò qui a riassumere la trama, che davvero è quanto di più sfaccettato abbia mai letto.

Si tratta di un romanzo che tratta innumerevoli argomenti (la fede, la verità, l’onore, la coscienza, l’educazione, la religione) e lo fa attraverso un continuo passare da un genere all’altro. Sullo sfondo, infatti, viene narrata una vicenda tipicamente “gialla”: un assassinio, un delitto perfetto, la caccia e la cattura del presunto colpevole. Ma attorno a essa, si dipanano generi diversi: da quello tipicamente giudiziario (con il racconto del processo generato dall’omicidio), a quello di formazione, alla biografia, alla commedia grottesca. Il tutto, però, sempre caratterizzato da un approfondimento psicologico e filosofico senza eguali.

 

 

Tutto il romanzo è come detto notevole. Ma ci sono capitoli che, davvero, ritengo inarrivabili. Per esempio, il dialogo tra Ivan e Aleksej sull’esistenza di Dio, con annessa la vicenda del “Grande inquisitore”, o le visioni demoniache dello stesso Ivan, la vicenda di Kolia e Iliusa, e le scorribande di Dimitrij.

Ieri notte, chiudendo il libro dopo aver letto l’ultima pagina, confesso che ci sono rimasto un po’ male. Speravo con tutto il cuore che il romanzo avesse una conclusione degna e non mi sembrava di averla trovata. Questa mattina, tuttavia, riflettendoci sopra e acquisendo notizie sul libro mi sono pian piano ricreduto.

Anzitutto ho scoperto che il romanzo è incompleto. O meglio, avrebbe dovuto far parte di uno scritto più ampio e complesso che avrebbe dovuto continuare in non so quanti altri libri incentrati interamente sulla figura di Aleksej, come peraltro l’autore aveva dichiarato nel prologo.

In effetti, dopo aver letto il prologo, la figura del minore dei fratelli Karamazov è rimasta un po’ sbiadita, soprattutto se paragonata a quella gigantesca dei fratelli maggiori.

 

 

 

La spiegazione sta nel fatto che “I fratelli Karamazov”, proprio come precisato da Dostoevskij, avrebbe dovuto essere una sorta di prologo a un romanzo più ampio dedicato ad Aleksej. Romanzo che purtroppo l’autore non ha fatto in tempo a scrivere.

Non capivo, dunque, la digressione fatta nel narrare le vicende di Iljusa e Kolia, due ragazzini di cui Aleksej fa la conoscenza, con cui peraltro si chiude il romanzo. Mi sembrava divergere troppo dalla trama principale. Tuttavia, anche senza considerare il fatto ineluttabile dell’incompiutezza dell’opera, ho afferrato in pieno l’esigenza narrativa di Dostoevskij. Al di là di intenti moraleggianti, la vicenda dei ragazzi è uno specchio di quella degli adulti. Un riflesso che costituisce anche una speranza per il futuro della Russia e dell’umanità tutta.

La speranza che quei ragazzi prendano il meglio dalle sofferenze patite e riescano in qualche modo a realizzare i nobili intenti che sono stati preclusi ai Karamazov a causa del loro carattere irruente e passionale e a causa di un Fato avverso e beffardo.

 

Recensione di Attilio Facchini

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