ITALO Ernesto Ferrero

ITALO, di Ernesto Ferrero (Einaudi  – ottobre 2023)

ACQUISTALO DA FELTRINELLI

Nei giorni del centenario della nascita di Italo Calvino, Ernesto Ferrero ci regala pagine di rara bellezza.

Già nei suoi precedenti libri, Calvino aveva occupato una posizione rilevante (come ne “I migliori anni della nostra vita”, lettura ricchissima, racconto della sua esperienza in Einaudi e della vita quotidiana in casa editrice dal 1963; oppure nel recente “Album di famiglia”, una sorta di album di memorie, ritratti di amici, scrittori, uomini e donne che hanno segnato la storia culturale del nostro Paese, in cui Calvino compare, con Primo Levi, fra “i prediletti”, ovvero i capostipiti di un ideale albero genealogico).

Qui finalmente lo spazio è solo per lui. Lui il centro, lui il soggetto, lui il motore del racconto.

Azzeccatissimo il titolo: semplicemente “Italo”. Senza metafore, ammiccamenti o giochi di parole, senza ghirigori, senza svolazzi. Bellissima la copertina, in cui spiccano quelle rughe che più volte compaiono nel racconto di Ferrero: pensieri, concetti, teorie e formule in fase di realizzazione, che affiorano sul viso e si distendono sulla fronte spaziosa.

Non una biografia, l’Italo di Ferrero. L’autore che mai si concedeva al racconto di sé (non lo faceva nelle interviste – che detestava – , non lo ha fatto nei suoi libri), non gliel’avrebbe mai perdonato. In Italo troviamo gli elementi, le coordinate, le chiavi, per entrare in confidenza con il pensiero e la scrittura di questo “osservatore distratto”, che cercava con tutte le sue forze di non apparire, di non esistere, di farsi di nebbia, limitandosi all’osservazione (possibilmente dall’alto).

Una sola volta, pare che sia riuscito senza esitazione a vincere la sua “ripugnanza per la parola parlata”. È stato in occasione dell’orazione funebre dell’amato Fenoglio, come ci racconta lo stesso Ferrero ne “I migliori anni della nostra vita”.

Maniaco del lavoro, ossessionato dalla ricerca della perfezione, dotato di una “ragione ostinatamente ordinatrice”, è l’Italo uomo e scrittore che emerge da queste pagine. Nel suo metodo, nel suo modo di approcciarsi alla scrittura, nello studio e nello sviluppo di una idea che si tramuti in parola scritta, c’è tutto il suo rigore morale, l’insaziabile appetito per la conoscenza in tutte le sue declinazioni, per la ricerca scientifica, per il calcolo, per la classificazione, la catalogazione enciclopedica. La geometria come bussola, la letteratura come cartografia. Sempre in conflitto con sé stesso, ansioso di rivedere, correggere, mettere in discussione ciò che ha scritto in precedenza. E via di revisioni, aggiustamenti, note, riscritture. Un lavoro senza sosta, senza freni, che lo ha spinto sino ai limiti dell’indicibile, convinto com’era che «la letteratura insegue quel che le sfugge».

“Il disordine produce l’assillo della precisione, della completezza, dell’armonia e dell’eleganza”.

Non c’è sentimento, fra le pagine di questo libro. Nemmeno questo, l’amico Italo gli avrebbe perdonato. C’è quella «distanza giusta, che è lo stile dell’unicità» , come scrive Emanuele Trevi nel suo libro Premio Strega “Due vite”. Una distanza che permette a Ferrero di consegnarci un ritratto intellettuale e non sentimentale, di uno scrittore che, come pochi, ha speso la sua intera vita per ricercare «quell’Altrove che non ci appartiene, che è proprio della lettura dei romanzi».

Non c’è la parola “io” , nell’Italo di Ferrero. Lui che lo ha conosciuto, frequentato, stimato e amato per decenni, lui che ne ha condiviso una ventennale esperienza in Einaudi, in questo ritratto non dice mai “io”. Solo nel finale, come ha giustamente notato Maurizio Crosetti sulle pagine di Repubblica, quando ormai il ritratto è concluso e il pennello è posato, solo allora – e siamo davvero alle due pagine finali – arriva il concitato momento dei saluti. Appare l’ “io”. «Eravamo rimasti intesi che ci saremmo sentiti quel pomeriggio». Italo è partito per sempre.

Aggiungo, molto modestamente, che c’è un altro momento dell’ “io”, poco più in là. È un momento che Ferrero mette quasi fra parentesi, dopo le note bibliografiche, al momento dei (brevissimi) ringraziamenti finali. Ciò a ulteriore riprova, a mio avviso, di una discrezione ammirevole, di una ferma volontà di lasciar fuori cuore, sentimenti, affetti da questo lucidissimo ritratto.

«In una foto che lo ritrae mentre imbocca Giovanna bambina ho ritrovato lo stesso gesto amorevole di una sera in cui, ospite a casa nostra, cucchiaio alla mano si era messo a imboccare mia figlia Chiara, due anni, che non voleva mangiare, raccontandole le storie di un aeroplanino capriccioso. Incantata, lei si era finalmente decisa ad aprire la bocca».

Commovente, vero?

Ernesto Ferrero

“Italo”

Einaudi.

Recensione di Valerio Scarcia

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