Ci ha lasciato a 85 anni Ernesto Ferrero, lo ricordiamo con due dei suoi libri più recenti

Ci ha lasciato a 85 anni Ernesto Ferrero, lo ricordiamo con due dei suoi libri più recenti

Che dolore.

Se n’è appena andato l’ultimo, grande protagonista di una stagione miracolosa, esaltante, gloriosa, per una casa editrice e per l’editoria intera.

Era rimasto solo lui.

Cercate i suoi libri. Leggeteli. Amateli. Abbracciateli forte, perché quella stagione, quel mondo, racchiuso in quelle pagine, non tornerà più.

Ripropongo due miei contributi a due letture entusiasmanti, che negli ultimi mesi mi hanno scaldato, rinfrescato, commosso.

Il personale, minuscolo contributo di un affezionatissimo lettore, solo uno fra i tanti, a un gigante dei nostri tempi.
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ALBUM DI FAMIGLIA. Maestri del Novecento ritratti dal vivo, di Ernesto Ferrero (Einaudi – ottobre 2022)

Il “bianco Einaudi”…

Negli ultimi giorni di questo 2022, ho voluto farmi un regalo. Ho teso la mano a Ernesto Ferrero e l’ho seguito in un viaggio nella memoria, un museo delle meraviglie, una galleria di ritratti di protagonisti del secolo passato, veri e propri “maestri del Novecento ritratti dal vivo”, come recita il sottotitolo di questo suo commovente libro.

Sono ritratti di persone che hanno dedicato la vita ai libri, perché credevano fermamente che i buoni libri possono cambiare in meglio il mondo.

Ad aprire il racconto è una citazione di Claudio Magris: “Noi siamo coloro che amiamo. Perché è più difficile narrare l’amicizia che l’amore?”

Parente stretto de “i migliori anni della nostra vita” dello stesso Ferrero, ma anche di “Mutandine di Chiffon” del brillante Carlo Fruttero, questo “Album di famiglia” è innanzitutto un libro sull’amicizia. Gli amici che animano questo racconto, condividono un sogno, un progetto, una visione, una “certa idea di mondo”. Lavorano gomito a gomito, siedono alle stesse scrivanie, partecipano a riunioni di redazione.

Discutono di politica. Sognano.

Progettano nuove collane, disegnano copertine.

Leggono, viaggiano, traducono.

Scrivono, scrivono e si scrivono. Innumerevoli le lettere, i biglietti scambiati, i consigli dati e richiesti, le attestazioni di stima, le confessioni e le confidenze, ma anche i rimbrotti, i litigi, le gelosie.

C’è chi se n’è andato troppo presto, restando giovane per sempre.

C’è chi va via e pianta un altro pilastro (la Adelphi, per esempio).

C’è chi resta.

È un libro su un tempo grandioso, una stagione di gloria per la cultura italiana, scritto con il cuore di un ragazzo. Un ragazzo che, poco più che ventenne, ha varcato la soglia di via Biancamano per farsi testimone, poi protagonista in prima persona, del miracolo di un lavoro che è soprattutto “passione, divertimento, gioco, gratificazione […] Il lavoro era crescita personale e collettiva, scoperta di mondi sconosciuti, libertà”.

Un libro prezioso e sincero, toccante.

Impressionante anche solo scorrere in elenco la galleria dei ritratti: Italo Calvino e Primo Levi (“i prediletti”); Giulio Einaudi, Giulio Bollati, Paolo Boringhieri, Luciano Foà, Erich Linder, Vanni Scheiwiller, Elvira ed Enzo Sellerio, Inge Feltrinelli, Livio Garzanti, Roberto Calasso (“i capotribù”); Cesare Pavese, Eugenio Montale, Norberto Bobbio, Massimo Mila (“i padri nobili”), e poi – fra gli altri – Vittorio Foà, Nuto Revelli, Mario Rigoni Stern, Natalia Ginzburg, Elsa Morante, Lalla Romano, Gianni Rodari, Bruno Munari, Carlo Fruttero e Franco Lucentini, Guido Ceronetti, Beppe Fenoglio, Daniele Del Giudice, Goffredo Parise, Leonardo Sciascia, Gianni Celati, Renato Guttuso, Pier Paolo Pasolini, Cesare Garboli, Umberto Eco.

Recensione di Valerio Scarcia

ITALO, di Ernesto Ferrero (Einaudi  – ottobre 2023)

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Nei giorni del centenario della nascita di Italo Calvino, Ernesto Ferrero ci regala pagine di rara bellezza.

Già nei suoi precedenti libri, Calvino aveva occupato una posizione rilevante (come ne “I migliori anni della nostra vita”, lettura ricchissima, racconto della sua esperienza in Einaudi e della vita quotidiana in casa editrice dal 1963; oppure nel recente “Album di famiglia”, una sorta di album di memorie, ritratti di amici, scrittori, uomini e donne che hanno segnato la storia culturale del nostro Paese, in cui Calvino compare, con Primo Levi, fra “i prediletti”, ovvero i capostipiti di un ideale albero genealogico).

Qui finalmente lo spazio è solo per lui. Lui il centro, lui il soggetto, lui il motore del racconto.

Azzeccatissimo il titolo: semplicemente “Italo”. Senza metafore, ammiccamenti o giochi di parole, senza ghirigori, senza svolazzi. Bellissima la copertina, in cui spiccano quelle rughe che più volte compaiono nel racconto di Ferrero: pensieri, concetti, teorie e formule in fase di realizzazione, che affiorano sul viso e si distendono sulla fronte spaziosa.

Non una biografia, l’Italo di Ferrero. L’autore che mai si concedeva al racconto di sé (non lo faceva nelle interviste – che detestava – , non lo ha fatto nei suoi libri), non gliel’avrebbe mai perdonato. In Italo troviamo gli elementi, le coordinate, le chiavi, per entrare in confidenza con il pensiero e la scrittura di questo “osservatore distratto”, che cercava con tutte le sue forze di non apparire, di non esistere, di farsi di nebbia, limitandosi all’osservazione (possibilmente dall’alto).

Una sola volta, pare che sia riuscito senza esitazione a vincere la sua “ripugnanza per la parola parlata”. È stato in occasione dell’orazione funebre dell’amato Fenoglio, come ci racconta lo stesso Ferrero ne “I migliori anni della nostra vita”.

Maniaco del lavoro, ossessionato dalla ricerca della perfezione, dotato di una “ragione ostinatamente ordinatrice”, è l’Italo uomo e scrittore che emerge da queste pagine. Nel suo metodo, nel suo modo di approcciarsi alla scrittura, nello studio e nello sviluppo di una idea che si tramuti in parola scritta, c’è tutto il suo rigore morale, l’insaziabile appetito per la conoscenza in tutte le sue declinazioni, per la ricerca scientifica, per il calcolo, per la classificazione, la catalogazione enciclopedica. La geometria come bussola, la letteratura come cartografia. Sempre in conflitto con sé stesso, ansioso di rivedere, correggere, mettere in discussione ciò che ha scritto in precedenza. E via di revisioni, aggiustamenti, note, riscritture. Un lavoro senza sosta, senza freni, che lo ha spinto sino ai limiti dell’indicibile, convinto com’era che «la letteratura insegue quel che le sfugge».

“Il disordine produce l’assillo della precisione, della completezza, dell’armonia e dell’eleganza”.

Non c’è sentimento, fra le pagine di questo libro. Nemmeno questo, l’amico Italo gli avrebbe perdonato. C’è quella «distanza giusta, che è lo stile dell’unicità» , come scrive Emanuele Trevi nel suo libro Premio Strega “Due vite”. Una distanza che permette a Ferrero di consegnarci un ritratto intellettuale e non sentimentale, di uno scrittore che, come pochi, ha speso la sua intera vita per ricercare «quell’Altrove che non ci appartiene, che è proprio della lettura dei romanzi».

Non c’è la parola “io” , nell’Italo di Ferrero. Lui che lo ha conosciuto, frequentato, stimato e amato per decenni, lui che ne ha condiviso una ventennale esperienza in Einaudi, in questo ritratto non dice mai “io”. Solo nel finale, come ha giustamente notato Maurizio Crosetti sulle pagine di Repubblica, quando ormai il ritratto è concluso e il pennello è posato, solo allora – e siamo davvero alle due pagine finali – arriva il concitato momento dei saluti. Appare l’ “io”. «Eravamo rimasti intesi che ci saremmo sentiti quel pomeriggio». Italo è partito per sempre.

Aggiungo, molto modestamente, che c’è un altro momento dell’ “io”, poco più in là. È un momento che Ferrero mette quasi fra parentesi, dopo le note bibliografiche, al momento dei (brevissimi) ringraziamenti finali. Ciò a ulteriore riprova, a mio avviso, di una discrezione ammirevole, di una ferma volontà di lasciar fuori cuore, sentimenti, affetti da questo lucidissimo ritratto.

«In una foto che lo ritrae mentre imbocca Giovanna bambina ho ritrovato lo stesso gesto amorevole di una sera in cui, ospite a casa nostra, cucchiaio alla mano si era messo a imboccare mia figlia Chiara, due anni, che non voleva mangiare, raccontandole le storie di un aeroplanino capriccioso. Incantata, lei si era finalmente decisa ad aprire la bocca».

Commovente, vero?

Ernesto Ferrero

“Italo”

Einaudi.

Recensione di Valerio Scarcia

Premio Strega 2000 – N Ernesto Ferrero

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