Abbiamo intervistato Raffaella Romagnolo che ci ha parlato del suo ultimo romanzo e condiviso alcune interessanti riflessioni sulla Storia e la Memoria

Abbiamo intervistato Raffaella Romagnolo che ci ha parlato del suo ultimo romanzo e condiviso alcune interessanti riflessioni sulla Storia e la Memoria

 

Intervista n. 192

 

Come prima domanda le chiederei di parlarci del suo nuovo romanzo “Aggiustare l’universo”. Da dove ha preso l’ispirazione per la costruzione di personaggi così interessanti e reali come Gilla ed Ester?

Si tratta in entrambi i casi di personaggi immaginari, ma che volevo risultassero verosimili. In questo senso ho cercato di utilizzare soprattutto la memorialistica di quegli anni, che per fortuna è abbondante.

 

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Il romanzo è pieno di riferimenti storici accurati, soprattutto relativi alle terribili leggi razziali. Quanto è importante una cornice storica documentata nel dare spessore a un romanzo di questo tipo?

Per me il passato è un serbatoio di risposte ai problemi contemporanei. Naturalmente per entrarci dentro è necessario ricostruire quello che non hai vissuto. Le fonti però non mancano. Oltre alla memorialistica, il periodo della Seconda guerra mondiale è stato ed è tutt’ora materia di approfondimento da parte degli storici. La Rete poi è una risorsa straordinaria: con un po’ di pazienza si trovano moltissime informazioni utili al romanziere, legate alla vita quotidiana, dettagli che danno veridicità al racconto.

 

Raffaella Romagnolo – foto di Lucia Bianchi

 

All’inizio del libro la maestra Gilla recupera un vecchio modello del sistema solare danneggiato e si impegna per ripararlo (un’immagine per me bellissima). Possiamo vedere in questa immagine il tentativo del nostro paese di ricostruirsi dopo le tragedie della guerra?

Il planetario rotto è un oggetto dalla forte carica simbolica. Il nostro Paese uscì devastato dalla guerra, ma Gilla è una di quelle persone che non si rassegnano alla disperazione. Il tentativo di aggiustare il modellino per poi utilizzarlo in classe richiama proprio lo sforzo che, ciascuno nel proprio piccolo, i nostri connazionali e gli europei tutti fecero per uscire dal disastro.

Per rimanere in tema, sono rimasto sorpreso nel sapere che molti sopravvissuti ai campi di concentramento come prima cosa si sono chiesti se il mondo esistesse ancora. Viene veramente da pensare che in quegli anni si sia verificata come una frattura del mondo conosciuto, condivide?

In toto. Anche per questo, e nonostante esistano opere di straordinario valore letterario che raccontano la Shoah, come quelle di Primi Levi, anche per gli scrittori che non hanno vissuto quegli anni continua a rimanere un campo di indagine privilegiato.

 

 

 

Un altro passaggio per niente scontato secondo me è quando Gilla, di fronte al fatto di dover punire due allieve, decide di spezzare la bacchetta, simbolo del vecchio metodo educativo. Possiamo dire che per riparare l’universo sia necessaria spesso una “rottura” col passato?

Gilla è stata bambina e poi ragazzina sotto il fascismo e dal fascismo è stata “educata”. La guerra prima e poi l’adesione alla Resistenza ha cambiato nel profondo la sua visione del mondo, e quindi anche, inevitabilmente direi, la sua visione dell’educazione. La violenza non è più, per lei, una strada percorribile.

 

Quando conosciamo Ester è una bambina che si fa chiamare Francesca, si finge muta e nasconde il suo essere ebrea, e questo nonostante la fine della guerra, come se il pericolo non fosse affatto andato via. Viene da pensare alla frase di Primo Levi “Se è successo può risuccedere” non trova?

Ester non finge, per lei il pericolo è tutt’altro che passato. Studiando un po’ la memorialistica di quegli anni, il mutismo selettivo, ossia la difficoltà a parlare pur essendo in grado di farlo, è stata una risposta al trauma molto diffusa tra i bambini vittime, a vario titolo, della guerra. I bambini sono in fondo le vittime senza voce di ogni guerra.

 

 

Liliana Segre ha recentemente ricordato come siano sempre meno i testimoni diretti del dramma dell’Olocausto. Quanto è importante tramandarne la memoria e quanto è difficile non risultare retorici nel farlo?

La perdita per ragioni anagrafiche dei testimoni segna un passaggio epocale. Chi si occupa dell’immaginario è, in un certo senso, chiamato a confrontarsi con ciò che è stato trasferendolo, diciamo così, alla complessità del presente. Questo è almeno quello che ho cercato di fare.

 

Intervista di Enrico Spinelli

 

 

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