RADICI e UN NATALE DIVERSO – Alex Haley

È stato con assoluta indignazione che ho portato avanti la lettura di questi due testi. Alludo al celebre RADICI e al romanzo breve UN NATALE DIVERSO, scritti da Alex Haley.

 

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Come in molti sanno o ricordano, dal primo dei due libri fu tratto il famoso omonimo sceneggiato diviso in due parti e mandato in onda dalla Rai verso la fine degli anni ’70, quello che aveva per protagonista delle prime puntate il giovane Kunta Kinte, il ragazzo diciassettenne rapito in Gambia nel 1750 per essere deportato, su una nave negriera, come schiavo nel sud degli Stati Uniti, dove molti bianchi europei, soprattutto britannici inizialmente, avevano ottenuto degli appezzamenti di terra, strappata (con la forza e la prepotenza) agli Indiani pellirossa (nativi americani), per fondarci delle piantagioni di tabacco, cotone, canna da zucchero e caffè, principalmente, e avere mano d’opera a zero costi per svolgere i duri lavori dei campi sotto il sole ardente del sud.

 

La schiavitù in quel continente risale al 1600, quando gente proveniente dall’Africa, si recava a lavorare, a contratto, in America, fino al riscatto; tale lavoro in schiavitù veniva svolto da bianchi e da neri indistintamente, poiché, di solito, chi accettava certi accordi proveniva da una zona estremamente povera e deprivata, per cui veniva assoldata per fare i lavori più umili: da quelli domestici a quelli estremamente faticosi dei campi.

 

 

 

 

 

Dopo varie legislature, nel 1705 si giunse addirittura a proclamare la superiorità della razza bianca su quella nera, prima di tutto, e su quella dei Pellirossa. Da allora, fiorì un deplorevole commercio umano dall’Africa fatto di rapimenti di massa e violenze notevolmente aggressive nei confronti di uomini, donne e bambini. Chi li comprava era ritenuto in tutto e per tutto il loro padrone, esattamente come se si fosse trattato di un oggetto.

 

Gli schiavi neri potevano sposarsi / accoppiarsi tra loro, anzi! Questo era auspicabile da parte dei padroni, perché significava che, riproducendosi, gli schiavi potevano aumentare di numero senza gravare sulla cassa con ulteriori acquisti! Ma tante volte non c’era bisogno neanche di questo, poiché ci pensava il padrone stesso di una piantagione a violentare le ragazze più giovani e avvenenti a cui, ovviamente, facevano seguito gravidanze indesiderate e nascite di bambini mulatti.

 

 

 

 

Quando il nord degli Stati Uniti si rese finalmente conto della follia di una simile paradossale situazione, iniziò a liberare gli schiavi detenuti fino ad abolire completamente l’istituzione della schiavitù nel 1820. La crescente diffusione di cotone, aumentando la domanda di manodopera in schiavitù, aumentò, di conseguenza, anche quella del rapimento di un numero sempre maggiore di gente proveniente dall’Africa.

 

Fu anche questo uno dei principali motivi per cui scoppiò la cruenta guerra civile detta di Secessione tra gli stati del nord, abolizionisti, e gli stati del sud, schiavisti.

 

E guai a fuggire, poi! Ronde di feroci sorveglianti e cacciatori di schiavi bianchi e, spesso, anche neri, accompagnati da cani molto aggressivi, riuscivano a catturare, la maggior parte delle volte, i malcapitati che tentavano coraggiosamente di riprendersi il proprio status di umano libero e non di oggetto (e proprietà) animato, al costo di indicibili sofferenze come le famose frustate sulla schiena o le mutilazioni di kuntiana memoria.

 

 

 

 

 

Per fortuna, quando la nebbia dalla mente, di chi si rendeva conto dell’abominio che veniva perpetrato ai danni di altri umani, diradò, si creò un cordone umanitario per aiutare i fuggitivi a raggiungere i paesi del nord dove la schiavitù era stata abolita. Grazie alla Underground Railroad molti sfortunati trovarono migliori condizioni di vita e vissero del proprio lavoro come uomini e donne liberi.

RADICI è proprio la narrazione romanzata, ma puntuale, di ciò che accadde agli antenati, in linea materna, dell’autore, Alex Haley, partendo dal capostipite Kunta Kinte, il ragazzo gambiano rapito nel 1750, mentre era nei boschi, fino alla madre di Alex, Bertha.

Tutte le vicende narrate, tutto l’albero genealogico riportato nelle prime due pagine, subito dopo la copertina, sono tutte vere, poiché Kunta, quando nacque la sua unica figlia, Kizzy, pensò bene di insegnarle qualche parola in mandinka, la lingua del suo villaggio di provenienza, Juffure, in Gambia. E, insieme a queste, anche la sua storia di persona nata libera, la quale si è tramandata di generazione in generazione, come fosse una tradizione per continuare a mantenere vivo il ricordo delle proprie origini.

Sono state proprio parole come taubob (straniero bianco), kamby bolongo (fiume), ko (chitarra) giunte fino al XX secolo a far scattare la curiosità, in Alex Haley, di cercare le proprie origini recandosi sul posto.

Per fortuna, sui canali video si riesce a trovare qualche spezzone dello sceneggiato nominato più su, per terminare la narrazione delle nuove generazioni ed è stato emozionante vedere l’attore che interpreta lo scrittore, James Earl Jones, recarsi in Africa, esattamente nel villaggio originario del suo avo, Kunta, gioire nel ritrovare uno dei discendenti che portano ancora oggi lo stesso cognome di Kinte: pur non parlando più la stessa lingua, i due ‘cugini’ si abbracciarono con sincero affetto, mentre ad Alex sembrerà aver reso finalmente giustizia al suo orgoglioso capostipite africano.

 

 

 

 

UN NATALE DIVERSO è invece un romanzo breve e semplice, sulla Underground Railroad, scritto successivamente a RADICI, in cui vengono narrate le vicissitudini di Fletcher Randall, giovane rampollo di un ricco senatore del sud, proprietario terriero di una delle più vaste piantagioni e di ben 100 schiavi negri.

Questo volumetto non aggiunge molto a RADICI, ma vale sempre la pena leggerlo.

CONSIDERAZIONI PERSONALI

Leggere RADICI è stato per me estremamente sconfortante, non per la scrittura che scorreva bene e veloce (forse anche grazie all’abile traduzione di Marco Amante), ma per l’abiezione e la vergogna di una tale atrocità perpetrata da umani ad altri umani, che solo nella Germania nazista si è forse vista nella storia dell’umanità, e mi hanno fatto letteralmente inorridire. E affermo questo anche consapevole degli orrori e delle torture che popoli, come quelli della Russia sovietica e della Cina di Mao, hanno subito, non per razzismo, bensì per fanatismo politico. Il che non è certo da scusare né di minore gravità, ma quello che l’America dei secoli scorsi e la Germania nazista hanno fatto è, secondo il mio parere, il crimine contro l’umanità più grande che sia mai stato commesso!

Come si può affermare che una razza è superiore all’altra? Dove si è mai visto scritto? E chi ha mai insegnato che una razza doveva essere cancellata dalla faccia della terra, solo perché seguace di una tale religione?

Queste e altre considerazioni mi hanno fatto sinceramente vergognare di essere umana!

Così come c’è da vergognarsi per le forme di razzismo ancora persistente.

Per questo, mi chiedo, pur essendo migliorata tanto la situazione degli afro-americani (e anche dei nativi), finirà mai questo atteggiamento, questa forma di pensiero assurda e deviata nei confronti di queste persone, che, oltre ad essere state costrette a trasferirsi con la forza, vivono ormai in quel continente da secoli?

 

 

 

Per concludere, vorrei riportare lo stralcio che A. Haley ha scritto riguardo al momento in cui ritrova i discendenti del suo avo Kunta Kinte in Gambia:

<< Ci stavamo avvicinando a un altro villaggio, molto più grande. E qui mi resi conto che la notizia di quel che era successo a Juffure ci aveva preceduto. Vidi infatti una gran folla venirci incontro; agitvano le braccia e gridavano tutti insieme; c’erano giovani e vecchi, donne e bambini. Tutti mi salutavano con un’espressione raggiante e gridavano: “Mister Kinte! Mister Kinte!”

Scoppiai in singhiozzi, come non mi capitava più da quando ero bambino. Mi pareva di piangere per tutte le atrocità commesse contro i miei simili, per quella che è forse la più infamante macchia nella storia dell’umanità >>..

 

Di Lena Merlina

 

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