IL COLIBRÌ Sandro Veronesi

IL COLIBRÌ, di Sandro Veronesi

 

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Recensione 1

Un libro denso di sentimenti, che mette a nudo dolori, sofferenze e gli ostacoli della vita che il lettore deve affrontare attraverso il protagonista Marco Carrera il quale, metaforicamente parlando, come il colibrì, cerca di resistere attraverso il suo battito d’ali, senza farsi travolgere dagli eventi rimanendo saldo e fermo nella sua posizione, non perdendo mai la voglia di vivere, resiliente fino in fondo. Chiaramente questo è un aspetto eroico del carattere del protagonista, ma anche una ragione difficile, che rende complicato il viverci insieme.

 

 

Marco non girerà le spalle al destino, anziché rifugiarsi nel lutto, nell’atrofia della mortificazione, che spesso annichiliscono le persone, inizia ad occuparsi di ciò che resta dopo il dolore e la sofferenza, recuperando quell’energia vitale che è stata così profondamente ferita.

La struttura narrativa del libro, fa continui salti nel tempo, tra presente, futuro e passato e questo è un modo che l’autore ha scelto per anticipare al lettore ciò che avverrà, come quasi a volerlo preparare, proteggerlo dai bruschi inciampi che la vita può riservare.

Nel libro non c’è solo sofferenza, ma è anche una dedica all’amore puro, quello per Irene, la sorella del protagonista, l’amore per la moglie Marina ma che Marco scoprirà essere solo un’illusione, l’amore per la figlia Adele, l’amore platonico, proibito per Luisa è quello per la nipote Miraijin.

 

 

Leggendo il romanzo inoltre, si colgono alcune particolari simmetrie su cui esso è costruito, ad esempio il filo immaginario che lega la figlia Adele e che poi nella seconda parte del libro diventerà fatale. Ugualmente simmetrico è il ritorno dell’amico Duccio Chilleri, personaggio d’ispirazione pirandelliana, detto “lo iettatore”, in una situazione dove la sua funzione paradossalmente si rovescia e diventa l’esatto opposto. Sono tali simmetrie che creano una sorta di chiusura del cerchio attraverso la loro ripetizione, diventando da positive a negative e viceversa.

Veronesi con il “Colibrì” riesce ad architettare un romanzo ricco di spunti interessanti, dove Il protagonista si sottrarrà alla dittatura del dolore che vorrebbe mortificarlo, cercando di ricavare piacere dalle piccole cose. E questo salverà il protagonista, il romanzo e il lettore, che troverà all’interno della storia momenti decisamente piacevoli.

Recensione di Marzia De Silvestri

 

Recensione 2

Cosa fa il colibrì?
Tantissimi battiti d’ali al secondo (circa 70) per restare fermo, immobile a mezz’aria.
Anche Marco Carrera, il protagonista del romanzo, fa questo… si muove per rimanere sempre allo stesso punto, in una sorta di resilienza ai cambiamenti, al dolore, alle perdite.
Questa metafora della vita è affascinante e, per certi versi, mi appartiene.
Usare tutta l’energia per fermarsi nel mondo e nel tempo, cercando spesso anche di risalirlo, il tempo, per recuperare quello perduto, proprio come il colibrì riesce a volare all’indietro.

“Ci vogliono coraggio ed energia anche per restare fermi”.

 

La sua vita è costellata di dolori immensi, lutti, separazioni, a partire dalla sua infanzia, dal matrimonio infelice dei suoi genitori, dalla perdita della tormentata sorella, per arrivare poi a quelli che lo coinvolgono in prima persona, amori pieni di rimpianti, incomprensioni col fratello cristallizzatisi nel tempo, ed altri cosi violenti a cui non si può neanche dare un nome.

Fin qui tutto bene, c’è un Veronesi che, seppur non raggiungendo, secondo me, le vette d’intensità di “Caos calmo“, ci dona una storia che coinvolge, sorretta da una scrittura oggettivamente bella.
Ma, ad un certo punto, c’è una svolta mistico/futuristica che non mi è piaciuta neanche un po’: il nostro protagonista cerca di dare un senso a tutte le atroci perdite che ha dovuto subire nel corso della sua vita e, per farlo, ci propina un futuro prossimo popolato dal frutto di tutto il suo dolore, ovvero una bambina (inquietante), sua nipote, che è l’incarnazione della nuova umanità.

 

È stato come se l’autore avesse voluto bilanciare un romanzo pieno di dolore e morte (che tuttavia non risulta mai disperato o struggente) con un pre-finale luminoso, proiettato verso un domani “troppo bello per essere vero”… multietnico, altruista, rispettoso, umano.
Improbabile, poco credibile…
Un voler dare un senso a ciò che senso non ha (semi-cit).
Il finale vero e proprio, invece, è decisamente angoscioso, e tratta un tema molto attuale e discusso.

Detto questo, Veronesi rimane, a mio avviso, un ottimo scrittore, uno che con le parole ci sa fare, che padroneggia egregiamente incipit che incantano, intrecci funzionali, architetture letterarie mai scontate.
La storia, qui, è cronologicamente destrutturata, i capitoli si alternano in modo apparentemente casuale, spiazzando un po’ il lettore, ma senza mai permettergli di perdersi, e mantenendo un certo dinamismo.
Insomma, io continuo a seguirlo.

Recensione di Antonella Russi

 

Recensione 3

Ritratto di una famiglia borghese tra Roma e Firenze. Dagli anni settanta ad oggi e ancora più in un ipotetico futuro.

Vacanze in riviera nella villa di famiglia, innamoramenti, amori falliti, amori impossibili,partite a tennis,psicanalisi a gogò, malattie terminali, divorzi, pranzi di famiglia, crisi familiari, tragedie devastanti, litigi segreti  etc.

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Il colibrì è un uccellino che riesce a stare fermo battendo le ali per settanta volte al minuto. Marco Carrera, il protagonista, è il colibrì. Lui è l’unico della famiglia a restare aggrappato ad uno scoglio mentre intorno infuria la tempesta.Tutto intorno cambia ma lui ha la capacità di affrontare gli eventi, a volte catastrofici, a viso aperto rimanendo fedele al suo mondo travagliato.

E’ una saga familiare che abbiamo letto tante volte con qualche escamotage per renderla più originale come l’impostazione spazio-temporale (non nuova anche questa) e la commistione tra e-mail e romanzo.

Accantonando il contenuto, bisogna dire che il romanzo è scritto benissimo, con un evidente padronanza della materia e Veronesi è bravo. E’ uno che sa raccontare molto bene. Poi vi è l’idea dell’avvento dell’Uomo Nuovo, colui che deve spezzare le catene di una società ormai decadente (ricorda Nietzsche no?) per crearne una nuova attraverso la ricostruzione di nuovi valori.

Questo compito l’autore lo affida alle nuove generazioni, alla nipote-manga Miraijin che diffonderà il Verbo attraverso un suo canale su Youtube. Anche qui mi sembra un’idea abbastanza pretenziosa e fuori luogo e l’autore mi sembra vada in confusione mettendo tanta carne al fuoco senza saperla arrostire.

Cosa mi rimane di questa lettura ? Mi rimane il ricordo del protagonista, un uomo a cui viene rimproverato di non amare i cambiamenti, di essere ancorato ai vecchi valori e questo scambio epistolare di battute con Luisa, l’unico vero amore della sua vita: 

“Nessuno come te sa essere così strenuo nel perseverare, ma anche nessuno come te sa sottrarsi al cambiamento, proprio come il verbo insidioso di cui parlano i due linguisti: rimani saldo, continui a oltranza, ma anche, fatalmente, ti sottrai alle leggi e alle decisioni degli altri.”

E lui : “Così, non c’è niente da fare, alla fine chi si muove è coraggioso e chi resta fermo è pavido, chi cambia è illuminato e chi non cambia è un ottuso. È ciò che ha deciso il nostro tempo. Per questo mi fa piacere che tu ti sia accorta (se ho capito bene la tua lettera) che ci vogliono coraggio ed energia anche per restare fermi.

Penso a te. Quanti traslochi hai fatto? Quanti lavori hai cambiato? Quanti amori, mariti, compagni, figli, aborti, case in campagna, case al mare, abitudini, fittonate, dolori, piaceri si sono avvicendati nella tua vita? Solo fermandosi a quel che so io, Luisa, che ovviamente non è che una parte, si parla di numeri assurdi. Quanta energia hai speso per tutto ciò? Tantissima. E ti ritrovi a cinquantadue anni a scrivere a me che sono – sì – più o meno rimasto fermo.”

 

E’ un romanzo che contiene tutti gli ingredienti giusti per piacere e farsi leggere,confezionato bene e adatto per entrare nelle classifiche dei libri più venduti.

“Per me resta una storia di famiglia molto salottiera, scritta bene e accattivante al punto giusto.” Cit.

Recensione di Cosimo Aprile

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