PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA 1929: Thomas Mann “principalmente per i suoi grandi romanzi I Buddenbrook e La montagna incantata”
I BUDDENBROOK. Decadenza di una famiglia, di Thomas Mann
LA MONTAGNA INCANTATA, di Thomas Mann
I BUDDENBROOK. Decadenza di una famiglia, di Thomas Mann
“Mia cara figlia, noi non siam nati per quella che con vista miope consideriamo la nostra piccola, personale felicità, perché non siamo esseri staccati, indipendenti e autonomi, ma anelli di una catena; e, così come siamo, non saremmo pensabili senza la serie di coloro che ci hanno preceduti e ci hanno indicato la strada, seguendo da parte loro rigidamente e senza guardare a destra o a sinistra, una tradizione provata e veneranda.”
In queste parole rivolte dal padre a Tony, la protagonista femminile del romanzo (vuole convincerla ad accettare una proposta di matrimonio che sembrava vantaggiosa), risiede il senso della mentalità che guida le azioni dei personaggi principali: il bene e l’onore della famiglia che per chi, come i Buddenbrook, ha un successo basato sul commercio, derivano dall’accumulo del denaro e dall’ostentazione della ricchezza. In direzione contraria va tutto ciò che non determina capacità nella vita pratica e arricchimento economico: il teatro, la musica, gli studi classici, ma anche un sentimento amoroso per qualcuno di rango inferiore nella scala sociale (sia esso uno studente di medicina o una commessa fioraia). Da qui la convinzione che nelle scelte di vita bisogna anteporre il bene della casata alle proprie inclinazioni individuali (e il libro su cui si appuntano le memorie di famiglia ha grande valore simbolico); ma non tutti si attengono a questo principio né, d’altronde, esso è garanzia di successo perché nonostante l’impegno e gli sforzi… Non aggiungo altro, anche se, pure per chi non conoscesse la trama, il sottotitolo è molto eloquente.
Un romanzo magistrale, in cui si riflette sulla vita e sulla morte, sul successo e sulla decadenza, sul possibile senso dell’esistenza, sulla religione, sul valore dell’arte, sulla complessità della natura umana; grazie alla capacità dell’autore di scavare nell’interiorità dei personaggi si finisce per empatizzare con tutti i membri della famiglia, colti nelle loro aspirazioni e, allo stesso tempo, nella loro fragilità.
Un’ultima nota vorrei riservarla alle indimenticabili pagine dedicate al mare e agli attimi di felicità che esso riesce a donare (anche se i soggiorni a Travemunde rappresentano sempre una parentesi e non una vera alternativa alla vita di città):
“E andavano, lungo lo sciacquio ritmico delle lunghe ondate, in faccia il vento salso che giunge libero e senza ostacoli, fischia intorno alle orecchie e provoca una dolce vertigine, un leggero stordimento… Andavano in quell’ampia pace mormorante del mare, che a ogni piccolo rumore, vicino o lontano, dà un misterioso significato…”
“Vacanze al mare! C’era qualcuno che potesse veramente capire quale felicità era questa? Dopo il fluire lento, monotono, angoscioso di innumerevoli giorni di scuola, quattro settimane di placida e spensierata solitudine, tra l’odore delle alghe e lo sciacquio sommesso della risacca… Quattro settimane, un periodo che all’inizio non si poteva concepire né misurare, e sarebbe stato volgare e abbominevole credere che sarebbe finito e parlare della sua fine […] starsene a giacere in pace davanti alla garitta di vimini, giocherellare trasognati con la rena umida che non insudicia, lasciar vagare e perdersi lo sguardo sull’infinito verde e azzurro donde spira libero, senza ostacoli, con un mormorio dolce, un vento fresco, gagliardo, deliziosamente profumato che soffia intorno agli orecchi e dà una gradita vertigine, un tenue stordimento in cui la coscienza del tempo e dello spazio e di qualsiasi limite affonda silente e beata […] Ma era un conforto illusorio, perché arrivati a metà delle vacanze si precipitava giù velocemente verso la fine, tanto velocemente che Hanno avrebbe voluto aggrapparsi ad ogni ora per non lasciarla fuggire, e rallentare il ritmo con cui aspirava l’aria marina per non sperperare sbadatamente quella felicità”.
Recensione di Laura Vetralla
LA MONTAGNA INCANTATA, di Thomas Mann
Un grande romanzo. Così si può sintetizzare il giudizio ultimo su questo libro. Tanti i temi, le problematiche, gli aspetti che molti e accreditati critici hanno evidenziato; dal mio personale punto di vista dico che vero protagonista de “La montagna incantata” è il tempo, nel suo scorrere inesorabile, lento o veloce, sempre uguale, sempre diverso . Direi che tutta la storia sia la metafora del tempo e non il contrario, come in genere avviene nei racconti. Già a pag.13 questo viene preannunciato ed è quanto di più impoetico e meno romanzesco si possa immaginare:la vita monotona in un sanatorio per ricchi, in una località di montagna. Eppure, nonostante la sua consistenza( 676 pagine la mia edizione) questo romanzo ti prende e induce a continuare la lettura. Libro da leggere con calma, da gustare adagio, come un calice di buon vino rosso, con ritmo lento, per assaporare, apprezzare e assorbire meglio la prosa. In essa sono sapientemente utilizzate la calma paratassi, ben articolata, con periodi lunghi e la intrigante ipotassi con incisi, incidentali e subordinate fino al terzo e quarto grado.
Con questa tecnica narrativa molto belle sono le pagine dei numerosi incipit, da quello iniziale agli altri, come quello di pag.540, caratterizzati da piacevole ironia, che fanno pensare agli analoghi accorgimenti di J.Amado e J. Saramago. Molte sono le pagine di bella prosa, artistica e raffinata : 26, 28, 216, 506, 511, 528, in cui l’Autore descrive con precisione ambienti, scene, situazioni, oggetti…Numerosi i campi in cui si addentra con approfondimenti: medicina, anatomia, biologia, filosofia, esoterismo, musica…, spesso oggetto di animate discussioni tra l’umanista italiano(tòpos) Lodovico Settembrini e il cupo, raffinato gesuita Naptha con i loro siparietti che spesso, per me, sono eccessivi, rendendo lento lo scorrere della lettura, comunque tenuta viva dall’ironia che li sottende e dalla compiaciuta partecipazione dell’Autore.
Onestà di lettore impone di notare il controsenso(forse nel 1924 non avvertito) del protagonista ed altri personaggi che fumano, pur essendo malati di tubercolosi, come pure il fatto che il decesso di qualcuno dei malati-pazienti all’inizio del romanzo viene celato agli altri ospiti del sanatorio, mentre quelli del cugino Joachim e del mynheer Peeperkorn sono esibiti e partecipati, come pure non passano inosservati quattro refusi (o errori di traduzione) a pag.216: “… in tre SI poteva metterSI…”, a pag.662: “… Radamanto da stridente…” forse doveva, essere “da studente”, a pag.664 si legge “… restò sconcertato” con tre possibili soggetti maschili e nessuno femminile; peccati veniali in un’opera importante che a pag.75 presenta anche un piacevole e felice controsenso. In conclusione, un romanzo importante, dalla lettura non facile, ma non ostica, che, dopo un corso lungo e lento, in seguito al duello dall’esito imprevisto, giunge velocemente all’epilogo nelle ultime tre pagine con una prosa d’arte, da vero autore, meritatamente tra i più importanti della letteruta tedesca ed europea della prima metà del Novecento
Recensione di Antonio Rondinelli
PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA 1921: Anatole France
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