MASTRO-DON GESUALDO Giovanni Verga

MASTRO-DON GESUALDO, di Giovanni Verga

I capolavori della letteratura mondiale hanno già avuto migliaia di recensioni, sono stati analizzati da fior di professori, sono citati nei saggi e spesso un lettore moderno sa già cosa aspettarsi e cosa cercare nella lettura anche prima di averla iniziata.

Questo è uno dei motivi per cui, probabilmente, in molti temono la recensione dei classici: cosa si può dire di un libro così famoso, che non sia già stato detto – e meglio – da gente più competente?

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Eppure, i classici suscitano le medesime emozioni dei libri più recenti e così oggi (ispirata da una discussione di qualche giorno fa) ho scelto di parlarvi di un romanzo che ha avuto un grande impatto su di me, anche se devo ammettere che è stata una “fiamma di ritorno”, una riflessione nata dopo molti anni dalla lettura.

Il libro narra la vicenda di un muratore che grazie al duro lavoro e al supporto di una sfrenata ambizione, riesce a salire i gradini della società, ad arricchirsi e a cambiare status, sposando una donna nobile: ciò nonostante, morirà da solo, abbandonato e ignorato da entrambi gli ambienti frequentati in vita.

Mastro Don Gesualdo racconta la storia di un uomo incapace di stare al suo posto, desideroso di innalzare la sua posizione, convinto che in quel cambiamento stia la chiave della felicità: a quella meta dirige ogni sforzo, salvo rendersi conto, in punto di morte, che è stato tutto inutile.

Il tuo posto nella società è deciso dall’alto, dal destino e volersi opporre al destino porta solo tragedia.

Don Gesualdo resterà Mastro per gli aristocratici tra i quali tenta disperatamente di inserirsi, resterà prigioniero di una barriera invisibile e tenace, per infrangere la quale non esita a sacrificare la sua stessa famiglia: i sui figli verranno infatti allevati da un altro uomo mentre a lui, per colmo dell’ironia, toccherà allevare la figlia dell’amante della moglie, senza che fra loro si crei alcun vero vincolo.

In un altro contesto culturale, la vicenda di Mastro Don Gesualdo potrebbe essere letta come un’esperienza di “karma” e potrebbe avere un esito più sereno, ma Verga ignorava i concetti dello zen e carica il suo romanzo di tutta l’amarezza, sfiducia e pessimismo possibili, quelli sottolineati innumerevoli volte dalla critica accademica: il tuo posto nel mondo è assegnato da un destino cieco che non prende minimamente in considerazione le tue aspirazioni o i tuoi sentimenti di essere umano, dunque se aspiri a un po’ di quiete (non felicità, sia mai!), accontentati e china la testa.

Un messaggio tanto negativo e sfiduciato difficilmente arriva al cuore dei giovani lettori che solitamente affrontano questo libro al liceo: a quell’età, nessuno ha esperienze di vita tali che permettano di comprendere e apprezzare fino in fondo la ribellione del protagonista, una ribellione tanto più commovente quanto più ci si rende conto che è inutile e portata avanti coi mezzi sbagliati; ma se si ha la pazienza di riflettere su questa lettura qualche anno dopo, allora la carica ribelle del protagonista sarà chiara in tutta la sua portata e Don Gesualdo tornerà a essere, come suo diritto, una figura emblematica delle quotidiana lotta per emergere in mondo che gode molto più del tuo fallimento che del tuo successo.

Per il resto, considerazioni politiche, linguistiche, stilistiche e quant’altro, vi rimando ai testi accademici che hanno sviscerato l’argomento.

Se non vi spaventa l’idea di confrontarvi, magari nuovamente, con un testo cardine della letteratura, per scoprire che ha ancora molto da darvi, provate questo romanzo: scoprirete anche che tanti sono I Mastro Don Gesualdo anche al giorno d’oggi e che la loro ribellione, identicamente cieca, porta allo stesso, tragico risultato.

Recensione di Valentina Leoni

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