Intervista a Paolo Roversi, in occasione del Festival del giallo che si è svolta a Rozzano

In occasione della quarta edizione del Festival del giallo, che si è svolta a Rozzano a fine ottobre, ormai nel 2023, abbiamo intervistato Paolo Roversi, che ne è stato il consulente, insieme a MilanoNera.

Paolo, Wikipedia sostiene che tu ti sia laureato in Storia Contemporanea all’università di Nizza, con una tesi sull’occupazione italiana in Costa Azzurra durante la Seconda Guerra Mondiale. Innanzitutto, è tutto vero? E, poi, cosa ti ha portato dalla provincia mantovana in terra francese?

Sì, è tutto vero. Ho frequentato l’università a Parma. Poi il terzo anno ho fatto l’Erasmus a Nizza. Mi è piaciuta tanto e mi sono trovato bene. Ho ottenuto la parificazione degli studi. Mi sono laureato là e quindi ho una laurea francese, discussa in francese.

 

 

A che età hai iniziato a scrivere e cosa scrivevi? Chi erano i personaggi dei tuoi primi racconti e che tipo di trame sviluppavi?

Io ho iniziato come giornalista. Il mio percorso è stato quello ma, ad un certo punto, non mi bastava più scrivere sempre di delitti altrui, di cronaca nera, consigli comunali, partite di calcio. Avevo bisogno di scrivere qualcosa di mio. Non ho mai scritto dei racconti, se non quando ero giovane. Quando ho cominciato a scrivere, però, ho immaginato subito un personaggio ed è nato lui, Radeschi.

Era proprio la mia domanda successiva. In quali circostanze nasce il giornalista Enrico Radeschi, il tuo primo personaggio seriale? Era una notte buia e tempestosa oppure c’era un sole splendente quando l’hai inventato?

Diciamo che è nato dall’esperienza perché, come ho detto, all’epoca facevo il giornalista. Pertanto il mio protagonista aveva le mie stesse conoscenze. Io possedevo una vespa gialla del ’74, lui ha una vespa gialla del ’74. E una delle mie grandi passioni era l’informatica, che gli ho regalato, che gli ho trasmesso. Lui, però, è molto più bravo di me. Radeschi fa cose che voi umani non potete neanche immaginare.

 

 

Il tuo nuovo personaggio, Luca Botero, contrariamente ai suoi predecessori, Radeschi su tutti, non sopporta la tecnologia. Vittima di un incidente stradale, ogni apparecchio elettronico, infatti, gli causa attacchi convulsivi. Niente computer, niente smartphone. Oggi sembra uno scenario inimmaginabile eppure, solo sino a pochi decenni fa, si viveva esattamente così. Esiste un modo, un segreto, per non farci completamente sopraffare ed inghiottire dalla tecnologia oppure è qualcosa a cui non possiamo sottrarci?

Con Botero ci provo, ma è puramente fiction. Nel mondo moderno credo sia quasi impossibile farne a meno. Pensate anche soltanto agli anziani, che devono fare conto con la PEC o lo SPID. La tecnologia ci semplifica la vita. In alcuni casi ce la complica, questo è innegabile.

 

 

Tutti conoscono Paolo Roversi, pochi invece sanno chi sia Lorenzo Visconti. Parlaci un po’ di lui e spiegaci la scelta del nome (perché Lorenzo e non Andrea, per esempio) e dell’esigenza di scrivere sotto altre mentite spoglie. Lorenzo scrive ancora?

Per il momento Lorenzo Visconti è in stand by, ma conto di farlo tornare, anche se ho talmente tanti progetti che dopo si fa fatica ad incastrarli tutti. Lorenzo Visconti nasce proprio per questo, dalla necessità di scrivere senza il rischio di sovraesposizione. Avevo queste storie e pertanto ho deciso di pubblicarle ugualmente utilizzando uno pseudonimo, ma dichiarando di essere io. In questo modo ho anche potuto dedicarmi al genere hard boiled, cosa che ho mai potuto sperimentare con Radeschi. Ho scelto il cognome Visconti, per la connotazione milanese, mentre Lorenzo è il mio secondo nome.

C’è qualche libro che ti sei pentito di aver pubblicato?

Pentito no. Non li cambierei, magari ne riscriverei delle parti. Ogni libro, se tu lo dovessi riscrivere a distanza di anni, lo scriveresti in modo diverso, ovviamente, perché il libro ti fotografa in quello specifico momento.

C’è stata, comunque, un’evoluzione nella tua scrittura.

Beh, dopo diciotto libri, direi di sì. Si migliora, come in tutte le cose. È come l’artigiano, che si dedica a tavoli o sedie: dopo diciotto anni, avrà sicuramente perfezionato la tecnica.

 

 

 

Rileggi mai i tuoi romanzi?

Rivedo delle parti, soprattutto di Radeschi, in funzione delle nuovi indagini, ma un libro intero, effettivamente, non lo rileggo da un po’.

C’è un romanzo altrui che avresti voluto scrivere tu stesso?

Sì. Si tratta de “Il potere del cane” di Don Winslow.

Sul tuo sito c’è scritto che sei uno scrittore, giornalista, sceneggiatore, podcaster, insegnante. Ti senti di aggiungere altro?

No (ride). È sin troppo.

Grazie per la disponibilità, Paolo.

Grazie a te.

 

Intervista di Chiara Castellucci

 

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