DUE VITE Emanuele Trevi

DUE VITE, di Emanuele Trevi

Recensione 1

Mentre leggevo “Due vite”, mi è tornata in mente una canzone di Dalida: “On est une femme à quarante ans” (siamo donne a quarant’anni), bellissimo testo che parla del confine difficile da tracciare fra l’amore e l’amicizia. Mi sono interrogata sui rapporti umani e l’impossibile compito di distinguere, classificare, incasellare sentimenti che volano liberi negli spazi lasciati senza nomi. È sorprendente come ritrovo il terreno fertile dei miei quarant’anni, allo stesso modo nella canzone di Dalida e nel testo di Trevi. La condizione umana che ognuno di noi tocca nel corso della propria vita si coniuga felicemente in quest’accostamento di parole: amore e amicizia. Ma solo la magia evocativa delle immagini riesce a lasciar andare la bellezza delle parole con il tempo o il vento mentre i nostri corpi sentono fluire le vibrazioni in un’unica spirale che raggiunge il nostro cuore. Con gli anni, sempre più riconosco un grande scrittore dalla sua capacità di liberare la mia parte sensoriale che mi consente di interagire con l’energia e le vibrazioni che si diffondono da ogni cosa. Da ogni testo. Trevi possiede questa qualità. Ne possiede tante altre. Of course. Ma questa perla rara si manifesta contemporaneamente nel fluido narrato e in spessori dell’anima.

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Critico letterario, scrittore, fine pensatore e filosofo, Emanuele Trevi usa le parole con delicatezza e precisione. Una visione poetica accompagna sempre il suo racconto. Le sue parole non sono mai lame: le avverto, io, lettrice, sempre come carezze.

«Era una di quelle persone destinate ad assomigliare, sempre di più con l’andar del tempo, al proprio nome. Fenomeno inspiegabile, ma non così raro. Rocco Carbone suona, in effetti, come una perizia geologica. E molti lati del suo carattere per niente facile suggerivano un’ostinazione, una rigidità di regno minerale.» (p.9) Un nome che suona, che vibra nel tempo e nelle stratificazioni terrestri del pianeta, di noi che lo abitiamo. Attribuire caratteristiche del regno minerale attraverso il nome proprio solleva la difficile questione del nostro rapporto intimo con chi siamo veramente nel profondo, quel profondo che scava nel tempo e nelle sovrapposizioni di strati che ci vengono buttati addosso dagli eventi e dagli affetti nel corso della nostra vita.

Sembra venire meno la possibilità di poter avvicinarsi a quell’io che ci rende unici: «Più ti avvicini a un individuo, più assomiglia a un quadro impressionista, o a un muro scorticato dal tempo e dalle intemperie: diventa insomma un coagulo di macchie, di grumi, di tracce indecifrabili. Ti allontani, viceversa, e quello stesso individuo comincia ad assomigliare troppo agli altri.» (p.18) Così nel rievocare le due vite del titolo, le vite di Rocco Carbone e Pia Pera, scomparsi entrambi precocemente, Emanuele Trevi attraversa il proprio dolore della perdita dei due cari amici, essendo consapevole che non riuscirà più a colmare la distanza che separa il tempo di vita condiviso dal presente. Bisogna trovare la distanza giusta fra noi, il nostro ricordo e la persona in questione … che poi dice l’autore è “lo stile dell’unicità”. E certo, ce li descrive tali: anticonvenzionali, originali, curiosi, studiosi, sempre in movimento: «Non siamo nati per diventare saggi, ma per resistere, scampare, rubare un po’ di piacere a un mondo che non è stato fatto per noi.» (p. 25) Di Pia Pera ricorda il suo coraggio, la sua timida sfrontatezza, di Rocco, la smania di astrazione e di classificazione che caratterizzava i suoi scritti, stile comunicati delle Brigate Rosse, il suo sogno di una “scienza della letteratura”. Mi piace riportare qui una conversazione fra i due:

«Ma a che ti serve tutta quella roba?»

«È importante»

«Ma importante per chi?»

«Per capire»

«Ma che devi capire?»

E così all’infinito (p.33)

Cercava un sé poco trovabile: «Altro che la cura di sé! Meno sai chi sei e cosa vuoi, meglio stai.» (p.34-5). Come asserisce Trevi: «Non dico nei libri, ma nell’universo, non c’è nulla che davvero ci assomigli, noi stessi non ci assomigliamo, e ogni forma di identificazione non è, in fin dei conti, che il casuale sovrapporsi di ombre fuggitive.» (p.44) Per assurdo, si pone persino la domanda: «Saranno davvero esistite due persone come Rocco e Pia?» (p. 113) Una riflessione molto densa e acuta che fa del ricordo la persistenza della vita altrui, dopo che hanno incontrato la morte. Nessun dio ci aspetta nell’aldilà, semmai nell’aldiquà. Magari nel giardino che Pia ha curato con tanta dedizione durante la malattia. Nel gesto dell’accudimento della memoria dispiegato lungo tutta la narrazione. Una fine tessitura, fra passato, presente e il futuro cancellato degli amici che irrompe nel presente ormai abitato solo dal narratore.

Recensione di IO LEGGO DI TUTTO, DAPPERTUTTO E SEMPRE. E TU? di Sylvia Zanotto 

 

Recensione 2

“Perché noi viviamo due vite, entrambe destinate a finire: la prima è la vita fisica, fatta di sangue e respiro, la seconda è quella che si svolge nella mente di chi ci ha voluto bene”.

La scrittura può essere viaggio, dentro gli altri e dentro se stessi, può essere riscatto o risarcimento di quanto si è perso per strada, può essere cura per i rimpianti o per i rammarichi, può essere mezzo schietto ma tortuoso tramite cui ricordare, trattenere e infine lasciare andare chi si è amato.

Emanuele Trevi si serve della scrittura per fare un dono a due scrittori scomparsi, Rocco Carbone e Pia Pera, ma soprattutto a due amici, e lo fa in virtù del consiglio che egli stesso dispensa, cioè che se si ha nostalgia di qualcuno non bisogna pensarlo ma scriverne. Ne viene fuori un testo che è insieme biografico e autobiografico, ma al tempo stesso riserva inesauribile di riflessioni letterarie, artistiche, esistenziali che sgorgano l’una dall’altra con una scrittura limpida, essenziale, capace di regalare concreti quadri di vita vissuta e dissertazioni sulla vita, sulla morte, sui paradossi della società moderna, sull’esigenza di autenticità imprescindibile per ciascuno di noi, spesso minacciata dai compromessi della vita quotidiana e dalle aspettative di chi sta accanto.

E in questo mare in cui un po’ tutti siamo allo sbaraglio, l’Amicizia si erge come un’isola d’approdo, un porto sicuro in cui, pur nel continuo alternarsi di alte e basse maree, la vita può trascorrere fiduciosamente scandita dal rintoccare di certe care abitudini.

Ecco allora i viaggi, le avventure, i litigi, i confronti, singoli momenti incorniciati da un hic e un nunc impressi in una memoria imperitura perché ciò che conta non è il cosa ma il come, quel legame indissolubile che si nutre di onestà, complicità, coraggio, ponendoti ogni giorno allo specchio e rendendoti consapevole dei tuoi limiti o delle tue infinite possibilità.

Rocco, Pia ed Emanuele, tre volti e tre anime differenti, di cui trasuda non solo la rispettiva opera letteraria qui descritta ma ogni singolo gesto qui scelto per essere raccontato, e in quest’intenzione spesso l’autore riesce ad andare oltre, poiché ciò che appare come particolare, contingente, tramite la scrittura si fa universale: “Da pochi mesi ho compiuto l’età esatta in cui Pia si è ammalata, cominciando a perdere progressivamente, inesorabilmente, giorno dopo giorno, l’uso del suo corpo. Gli anni di Rocco, invece, ormai li ho superati abbondantemente. I nostri amici sono anche questo, rappresentazioni delle epoche della vita che attraversiamo come navigando in un arcipelago dove arriviamo a doppiare promontori che ci sembravano lontanissimi, rimanendo sempre più soli, non riuscendo a intuire nulla dello scoglio dove toccherà a noi, una buona volta, andare a sbattere”.

Un libro da leggere, perché ti fa venire voglia di conoscere tre autori dopo averne carpito l’essenza, perché ti fa riflettere sul valore consapevole della memoria, perché ti fa sentire fortunato se hai degli amici, dei buoni amici, con cui condividere ogni giorno la grande sfida dell’essere al mondo: “Non siamo nati per diventare saggi, ma per resistere, scampare, rubare un po’ di piacere a un mondo che non è stato fatto per noi” .

Recensione di Magda Lo Iacono

Recensione 3

Le due vite appartengono a ROCCO CARBONE e PIA PERA, scrittori legati da grande amicizia ed entrambi scomparsi prematuramente.
Rocco morto a seguito di un incidente nel 2008 all’età di quarantasei anni e Pia Pera a seguito di malattia nel 2016 all’età di sessant’anni.
Emanuele Trevi evidenzia le differenze caratteriali e conseguentemente le diverse condotte ma soprattutto mette in risalto l’amicizia profonda e trasparente che legava i due scrittori , quel legame che è possibile solo quando “ Eros, quell’ozioso infame, non ci mette lo zampino”.

Ho trovato questo libro delizioso, molti gli spunti per riflettere e la matita che sempre tengo fra le mani mentre leggo, ha avuto il suo da fare.

Qualche stralcio

– Non siamo nati per diventare saggi, ma per resistere, scampare, rubare un po’ di piacere a un mondo che non è stato fatto per noi.

– Inspiegabilmente, alla fotografia si associa l’idea dell’immortalare, ma è un modo di dire sbagliato , non c’è nulla che più della fotografia, in un modo o nell’altro sempre vincolata all’attimo e al presente, ci ricordi la nostra transitorietà e futilità.

– Già è difficile dare un bon consiglio; ma se chi ti parla vuole solo essere ascoltato , allora non c’è più niente da fare.

Emanuele Trevi ora ex marito di Chiara Gamberale fa una descrizione di Rocco Carbone che mi ha molto colpita. Scrive che Rocco spesso andava a casa loro a raccontare i fatti suoi e li raccontava soprattutto a Chiara: un’interminabile tela di problemi, di amarezze, di propositi assurdi. Se ne stavano in cucina interi pomeriggi, avvolti in una densa nuvola di fumo, esercitandosi nell’arte impossibile di capire la vita.
“Esercitandosi nell’arte impossibile di capire la vita” , pure io ci provo.
DUE VITE intense quelle di Rocco e Pia, magistralmente raccontate da TREVI da coinvolgere appieno il lettore ed aggiudicarsi il PREMIO STREGA 2021, secondo me, meritatamente.

Recensione di Yvonne Pelizzari

DUE VITE, di Emanuele Trevi

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