Premio Campiello 2023: vince Benedetta Tobagi con La Resistenza delle donne

Vince il Premio Campiello 2023 Benedetta Tobagi con La Resistenza delle donne

 

LA RESISTENZA DELLE DONNE, di Benedetta Tobagi (Einaudi – ottobre 2022)

Finito di leggere un libro come questo, la prima cosa che vorresti fare è metterti le scarpe e scendere in strada, fermare un passante, il primo che incontri, e leggergli qualche pagina ad alta voce. Perché non è possibile che proprio lui (che nemmeno conosci) non conosca la bellezza di quelle pagine. Vorresti improvvisare un reading in mezzo agli sconosciuti.

Poi realizzi che tutto ciò non è possibile, ma l’urgenza di condividere non si attenua.

È un racconto appassionato e appassionante, “La resistenza delle donne”, scritto (magnificamente) da Benedetta Tobagi. Un documento prezioso che fa luce sul ruolo della donna, delle tante donne, nella lotta per la Liberazione.

Troppo a lungo relegate al ruolo di “staffette” – termine spesso usato per ridimensionare il loro contributo a semplici messaggere, portatrici di messaggi, figure di supporto a bordo di esili biciclette, queste donne hanno invece svolto un ruolo ben più centrale nell’organizzazione e nell’esecuzione di azioni e missioni ad altissimo coefficiente di rischio e pericolosità.

Ma c’è molto di più. Cresciute in un clima di “moralismo e di puritanesimo esasperato”, queste donne coraggiosissime hanno dovuto combattere ben più di una guerra. Hanno dovuto vincere il pregiudizio dilagante, la sopraffazione, la cecità e l’arretratezza di un pensiero che le voleva relegate al ruolo di “mogli, madri e sorelle”.

Hanno dovuto “uccidere l’angelo del focolare” (azzeccatissima espressione di Virginia Woolf che ricorre spesso nel libro) superare cioè quell’immagine stereotipata della donna sempre e comunque messa in ombra (oggi si direbbe “un passo indietro”) rispetto agli uomini.

Il libro è impreziosito da foto d’epoca, con le quali Benedetta Tobagi sembra quasi dialogare, dandole del “tu”. Sono ritratti, foto di gruppo, istantanee catturate o foto d’archivio costruite per esigenze di documentazione: l’autrice se ne serve volta per volta, come strumento per rivelarci un particolare, una curiosità, un aneddoto, per studiare un’emozione, per coinvolgerci nella ricostruzione, indovinare uno stato d’animo (“guardate qui”, “che ve ne pare di questa?”)

“Quando avrò tutto il sole, tutta l’aria, tutta la libertà, tutta la vita come potrò con questo finito cuore umano contenere un infinito di felicità?” dice una ex combattente.

Personalmente non avevo mai pensato al ruolo della felicità, alla spensieratezza, nei racconti e nei libri sulla Resistenza che ho avuto occasione di leggere o ascoltare. Eppure eccolo lì, al centro del libro, un capitolo dal titolo esemplare: “Carnevale”.

Sembra strano, addirittura fuori luogo, ma davvero dal racconto di alcune protagoniste traspare chiaro, evidente, fortissimo, quel bisogno di “dar sfogo al proprio senso d’avventura e di sperimentare l’ebbrezza del pericolo”. Un vero e proprio “carnevale di divertimento e trasgressione per le ragazze, soprattutto, finalmente libere dal controllo occhiuto delle famiglie e dei parroci”.

In quel viaggio dentro a un misto di “incanto e disperazione” (Wislava Szymborska) che è stata la Resistenza per moltissime donne, c’è spazio per una moltitudine di ritratti, di personalità, di diversi modi di interpretare la lotta. Alcune di queste donne non hanno esitato ad imbracciare un fucile per conquistare un posto in prima linea. Altre hanno preferito non impugnare armi, determinate com’erano a fare “guerra alla guerra”. C’erano, insomma, tanti modi di combattere, dentro i Gap, o nei Gruppi per la Difesa della Donna, dentro le fabbriche, per le strade, sulle colline o le montagne.

A dir poco illuminante, per me, il racconto di ciò che è successo dopo la Liberazione, quando molte donne si accorgono, immediatamente, di quanto sarà difficile tornare alla vita di tutti i giorni. Non tanto, e non solo, per l’impossibilità di superare, accettare, dimenticare, o addirittura perdonare, le brutalità, le violenze, le torture (fisiche e psicologiche), quanto per l’amara consapevolezza che la fine di quel “sogno” che è stata la Resistenza, comporterà per le donne il ritorno entro quei “confini angusti dei ruoli consueti”.

Le pagine dedicate alla “tristezza della Liberazione” (titolo eloquente di uno splendido capitolo, cui segue con altrettanta efficacia il successivo capitolo “zitte e buone”) sono forse le più amare del libro, ancor più di quelle dedicate alle violenze, alla prigionia, alle torture, agli stupri, perché tratteggiano con precisione chirurgica un’altra forma di violenza, ben più subdola. Una violenza tutta verbale, psicologica: la violenza dell’invidia, dell’umiliazione, dell’intimidazione.

“Per le donne è molto difficile, perché su queste cose han la guerra dentro, sempre, da sempre. Un coro greco di genitori, fidanzati, mariti, parroci, politici, altre donne – e chi più ne ha più ne metta – coi loro sguardi e giudizi implacabili, scatena un corto circuito con le vocine annidate così in fondo nella testa che nemmeno le riconoscono più. Le dicono di stare zitta, di essere brava, e buona, altrimenti resterà sola, sarà una reietta, finirà male, sarà la vergogna e la rovina della famiglia o del partito – perché le dinamiche si riproducono tal quali […] Le vocine sono un sottofondo continuo, si mescolano all’aria che si respira, si travestono da evidenza e dato di fatto, finché qualche circostanza drammatica, o magari una compagna più consapevole, non le smaschera. Non sono bastate nemmeno una guerra mondiale e una guerra civile a cancellarle. Erano rimaste in agguato, pronte a risorgere a tradimento, complice una società che non vede l’ora di rimettere le donne al posto di prima”.

Grazie Benedetta Tobagi per questo splendido libro. Grazie, grazie e ancora grazie.

Recensione di Valerio Scarcia

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