FAIRY TALE Stephen King 

FAIRY TALE, di Stephen King

Charlie Reade ha fatto un patto con Dio: “Se lo fai per me, (far smettere di bere il padre – ndr) chiunque tu sia, farò qualcosa per te”. Così, un giorno, dopo che da vari anni il padre è tornato sobrio, mentre torna da scuola si ferma sentendo dei guaiti di un cane ed un debole grido di aiuto. Prende coraggio ed entra nel giardino della famigerata Casa di Psycho, dove vive un vecchio scorbutico con un cane rabbioso (ogni riferimento a Cujo è pienamente voluto e vari altri ve ne sono, alla produzione di King, che si affacciano nel corso della narrazione). L’uomo si è rotto una gamba e Charlie, chiamati i soccorsi, si impegna a prendersi cura del cane Radar, anch’esso in realtà divenuto vecchio e ben poco pericoloso. Ma un patto con Dio va rispettato fino in fondo ed il ragazzo assiste il vecchio Howard Bowditch anche al suo rientro dall’ospedale, durante una lunga estate fatta di lavoretti e mille incombenze.

Assiste così a strani rumori prima ed eventi poi che si svolgono attorno al capanno nel giardino, chiuso da un lucchetto ingombrante “Da dietro la porta arrivò un rumore di unghie, seguito da uno strano squittio che mi fece drizzare i peli sulla nuca. Non era un suono animale. Non avevo mai sentito niente di simile” (cit.)… fino alla morte del vecchio Bowditch, che in un’audiocassetta racconta al ragazzo una storia incredibile, di un mondo parallelo nascosto sotto un pozzo. Charlie ha diciassette anni, un vecchio cane moribondo a cui badare e tanto coraggio incosciente: scende nel pozzo ed inizierà un’avventura che richiama le fiabe che ognuno di noi si è sentito raccontare da piccolo, dove Bene e Male lottano tra loro e… il resto, lo scoprirete solo leggendo le 677 pagine del libro.

La domanda che ognuno di voi si farà è se l’ennesimo libro di King è all’altezza dei suoi capolavori: no, non lo è, questo deve essere chiaro. Ma credo che sia inevitabile: dopo It, Il miglio verde, Shining, Le notti di Salem e pochi altri, è difficile tenere sempre così alto il livello della propria produzione, soprattutto se poi è frequente come nel caso di King. Ciò non toglie che questo è un buon libro, scritto con la solita maestria a cui il Re ci ha abituato, contiene personaggi che resteranno nel cuore del lettore e la trama è piacevole. Il tema è quello alla base dei romanzi del Re, l’eterna lotta tra il Bene ed il Male e come l’influsso di un solo soggetto possa cambiare le sorti della storia e del mondo, anche se devo dire che non ho trovato nuovi spunti di riflessione, solo gli stessi concetti rielaborati con parole diverse.

Tuttavia, King intreccia con la sua solita abilità le favole dei Fratelli Grimm (attenzione, quelle vere non la versione edulcorata della Disney) con gli orrori di H. P. Lovecraft ed ancora una volta è l’amore a guidare i passi del protagonista, in primis quello verso il vecchio cane, Radar, che lo spingerà ad affrontare orrori indicibili, ma sarà poi quello per il padre a spingerlo come una calamita a tentare il ritorno. C’è anche l’Amor Cortese, a guidare i passi di Charlie, perché in una favola non può mai mancare una splendida e triste principessa da salvare… anche se qui, tanto indifesa non è, al passo con i tempi che stiamo vivendo anche nell’universo Disney, dove Biancaneve è stata ormai superata da Mirabel.

Se lo consiglio? Assolutamente sì, perché è un libro avvolgente che ti trascina in una realtà parallela e ti insegna ancora una volta come le fiabe possano essere tremende ma i principi esistono e forse il Male può essere sconfitto…

Ma: “Ci si abitua alle cose più stupefacenti: tutto qui. Alle sirene e ai grandi schermi, ai giganti e ai telefoni cellulari. Se una cosa si trova nel tuo mondo, ne accetti subito l’esistenza. È meraviglioso, non trovate? Se però guardate tutte queste cose da un’altra prospettiva, sono terribili. Pensate che (…) sia spaventoso? Il nostro mondo è seduto sopra un arsenale di armi nucleari che potenzialmente sarebbe in grado di distruggere il pianeta, e se non è magia nera questa, non saprei come altro definirla.” (cit.)

Recensione di Giulia Quinti
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