
L’ANIMALE MORENTE, di Philip Roth (Einaudi)
Decido di leggere L’animale Morente di P. Roth, mi reco nella mia solita libreria e me lo faccio prendere dall’alto scaffale; in realtà quello prossimo al soffitto, che sia una sorta di Olimpo per gli Dei letterari? Con Roth è logico pensarlo, anche se nel momento dell’acquisto, mi ritrovo in mano un libriccino di 100 pagine.
( Sob! Sob! )
Io……io, che per un’oscura ragione leggo libri da 300 pagine in su, decido che voglio fidarmi del mio “amico” di Newark, e penso che sì, sarà un bellissimo racconto ma nulla più.
Lo compro.
Fino a buona parte del piccolo capolavoro, la penna dell’autore è in ogni pagina più audace; esplicita, se vogliamo usare un eufemismo.
Sesso, soltanto sesso tra un professore in là con gli anni e una sua ex studentessa cubana: Consuelo, di una bellezza conturbante. David Kepesh, il nostro “instancabile” professore, vuole rapporti senza implicazioni sentimentali, intende fermare gli anni con la sua frenesia ormonale. Strano come in così poche pagine ci sia tanto da raccontare al di là dello sfrenato desiderio dell’erotomane, in quanto, oltre al corpo di Consuelo, con i “feticci” di carne tanto desiderati da Kepesh, è intessuta una trama articolata. Mi punge vaghezza di continuare su ulteriori descrizioni, ma ho timore di “spoilerare” una storia che va letta nella sua interezza riguardo le diverse dinamiche che ci trasportano in una conclusione romantica nell’accezione alta del significato. Posso solo aggiungere che ci sarà una morte: fisica o altro? So soltanto che le ultime righe mi hanno fatto venire la pelle d’oca. Siamo veramente certi che la penna di Roth sia assimilabile a un bisturi e che contenga inchiostro frammisto ad arsenico, e che lui non sia, anche se velatamente, indulgente col genere umano spesso fallace ignaro e naturalmente con se stesso?
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