DUE LIBRI A CONFRONTO: IL FIGLIO DI DUE MADRI, di Massimo Bontempelli (Utopia) – NASCITA E MORTE DELLA MASSAIA, di Paola Masino (Feltrinelli)
Leggere questi due libri in sequenza, a distanza di pochi giorni l’uno dall’altro, è stato come dare nuova vita a quel carteggio che, verso la fine degli anni Venti del Novecento, Massimo Bontempelli e Paola Masino si scambiarono, innamorati, complici, avvolti l’uno nella vita dell’altro, come sarebbero rimasti fino alla fine.
“Il figlio di due madri” è espressione di quel “realismo magico” teorizzato da Bontempelli: un elemento soprannaturale che scardina il perimetro del reale entro cui si svolge la narrazione, senza sconfinare nell’irreale. Un figlio che riconosce in un’altra donna la propria madre. Una maternità contesa e da ambo le parti rivendicata, una rivalità che saprà tingersi in modo sorprendente di tenerezza e di complicità.
“Nascita e morte della massaia” doveva inizialmente intitolarsi “Vita di massaia”, quando nel 1939 era ormai pronto per essere dato alle stampe. Un bombardamento su Milano ne distrusse l’intera tiratura. Masino lo riprese anni dopo, ne ripristinò alcune parti manomesse dalla censura del regime, assegnandogli un nuovo titolo. Non più la vita di una massaia, ma la “nascita e la morte” della Massaia. Così il personaggio, chiamato Massaia lungo tutto il romanzo, diventa l’incarnazione di una condizione universale: la condizione di una donna «compiuta dentro le membra assegnatele». Esce dal baule nel quale si era rinchiusa sin dall’infanzia, vive e va nel mondo, caricandosi sulle spalle il peso delle altrui esistenze.
Non potrebbero essere più diversi, questi due libri, per stile, ritmo, lingua. Eppure entrambi offrono indimenticabili ritratti di donne. Gli uomini sono pressoché assenti, o insignificanti, o derisi, ridimensionati, relegati a ruoli di second’ordine.
Entrambi i libri esplorano a fondo la condizione di donne e di madri – nel caso di Bontempelli, costrette a “sgrovigliare” nelle proprie povere menti «il cordame confuso di quegli avvenimenti strambi»; nel caso di Masino, di una madre che si prepara a morire di crepacuore per non essere in grado di far nulla per sua figlia).
«Nascere è passare traverso un dolore ostile e altrui che ci conservava, per andare dove il nostro proprio dolore ci attrae, che ci consumerà. Per questo dunque l’amore materno è una forza sempre lacerata», arriva a capire la Massaia ancora poco più che bambina.
In entrambi i romanzi si muore, per ragioni del tutto altre rispetto alla biologica fine di una esistenza.
Si muore per «mancanza d’immaginazione, ora che solo d’immaginazione avrebbe potuto vivere» (Bontempelli).
Si muore «per decrepitezza, come se avesse vissuto tante altre vite, portato gente sulle spalle» (Masino).
Due diversi modi per «consegnare alla morte una goccia di splendore» , come canterà qualcuno, mezzo secolo dopo.
Massimo Bontempelli, “Il figlio di due madri”, Utopia editore.
Paola Masino, “Nascita e morte della massaia”, Feltrinelli editore
Di Valerio Scarcia
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