PREMIO VIAREGGIO 1950 (ex aequo):  LE TERRE DI SACRAMENTO Francesco Jovane – SPERANZELLA Carlo Bernari

PREMIO VIAREGGIO 1950 (ex aequo):

    •  LE TERRE DI SACRAMENTO, di Francesco Jovane

    •  SPERANZELLA, di Carlo Bernari

LE TERRE DEL SACRAMENTO, di Francesco Jovine

Bel romanzo che tratta del mondo contadino e delle angherie che spesso ha subito in particolar modo nel meridione, dove è ambientato. Per la precisione nel Molise, una terra bellissima di dove è originario lo scrittore. È un romanzo che può essere accostato a Fontamara, sia per le tematiche del mondo contadino sia per la efficacia e la sensibilità nel rappresentare questi personaggi di ceto molto povero che seppur con una vita durissima riescono con il loro orgoglio a tener duro. Nel romanzo spicca la figura di Luca Marano un giovane che si erge come difensore dei diritti dei poveri contadini in una società oppressa dai nobili che li fregano sempre e dall’ ascesa del fascismo che nel finale del libro fa sentire tutta la sua crudeltà. Jovine scrive bene ed era antifascista proprio in quegli anni della sua ascesa… il suo romanzo più famoso e’ “Signora Ava” e non vedo l’ ora di leggerlo…
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Di Gianluca Zullo

SPERANZELLA, di Carlo Bernari

Con questo romanzo , scritto nell’immediato dopoguerra e in cui si racconta di una Napoli alle prese in parte con l’occupazione americana in parte con l’abdicazione del re, Bernari nel 1950 vinse il Premio Viareggio.

Il pregio della storia, a mio parere, è la sua coralità e l’ambientazione – che ricorda il teatro eduardiano – nei vicoli di Napoli collegati alla strada detta Speranzella, in pieni Quartieri Spagnoli.

I due personaggi femminili che dominano la vicenda sono quelli di donna Elvira – detta La Caffettera – e della giovanissima orfana Nannina, che viene “adottata” dalla prima in una sorta di imitazione compensativa di un rapporto con una figlia che non ha.

La miseria nera, le rivalià tra Elvira – di assoluta fede monarchica – e La Pizzicatella, esponente invece del partito comunista, inviso ai più nella zona ma che pure comincia a diffondersi, rappresentano i temi portanti del romanzo.

La Caffettera se la cava, manda avanti la famiglia con il suo commercio del caffè, tenuto nello stesso basso dove dorme insieme ai due figli, mentre il marito Ciccillo appare sullo sfondo, perchè rientra a casa solo una volta alla settimana.

“Soddisfatta la carne, essa doveva saziare lo spirito che dopo una settimana di solitudine era assetato di litigi: con un Ciccillo che torna a casa ogni otto giorni, le si ammucchiavano in ogni angolo otto giorni di guai, otto giorni di amarezze, otto giorni di delusioni. I panni sporchi dell’intera famiglia, tutt’in una volta le capitano tra le mani ed essa deve enumerarli a cinghiate: “Una vajassa, mi hai ridotta!”

La prosa è infittita da dialoghi che spesso rimandano a espressioni dialettali, molto realistici.

La disperazione e l’insoddisfazione di Elvira, che si affida, nel tentativo di superarle, alla totale dedizione alla causa monarchica e a un veggente che le spilla denaro, connotano il personaggio principale della vicenda. Nannina, contraltare della donna più matura, è pura in modo tale da non essere corrotta dalle difficoltà della vita trascorsa in povertà e abbandono; rappresenta la giovinezza e il futuro mentre la Caffettera tutto ciò che sta vorticosamente lasciando vitalità e crediblità.

Illuminante un dialogo – di stampo “gattopardesco” – tra Mastrovincenzo (tipico personaggio portatore di un sapere “popolare” ma non per questo poco acuto) e Michele, figlio di Elvira.

“(…) Il vero signore e il vero pezzente si mettono d’accordo: per lasciare le cose come si ritrovano. ” Viva il re? ” fa uno e “viva il re!” fa l’altro. Così il re può mettere la testa sempre sullo stesso cuscino e dormire tranquillo … Ma forse non ci hai capito niente” . “No, per capire ho capito, ma non mi faccio ancora capace di una cosa, a noi che ci conviene di essere?”(…)

“Chi sa” fece il ragazzo trasognato ” ma poi io voglio un poco di istruzione.” “E che ci vuole?” disse il vecchio. “Che ci vuole, dite voi … E se mi vedono con un libro in mano, sa’ quanti sfottò. Ma voi, come avete fatto a impararvi tante cose senza farvi sfottere?” “Leggendo, Michè” “Leggendo, va beh, ma che cosa? E poi, leggendo come, se uno non sa neppure leggere bene? ” “La terza l’hai fatta? L’alfabeto allora lo sai. E leggi. Qualunque sia cosa. Leggi. Quello che capita, un giornale, un libro, un manifesto, quello che t’arriva sotto gli occhi , non devi badare né a che leggi, né quello che capisci”. ” Perché? si può anche leggere senza capire?” ” E’ naturale. Perché tu credi che tutti capiscono quello che leggono? E chi scriverebbe più! si può dire che è più la roba stampata che non si capisce che quchella che si capisce!” ” E che sfizio c’è?” ” Vai avanti e piano piano capisci, capisci sempre di più, fino a quando capisci che è fesso chi legge, ed era meglio se non capivi niente (…)”

Scrittura molto interessante, lettura piacevole, che accomuna temi sociali e drammi dei singoli personaggi

Recensione di Elisa Tomassi

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