LE INSEPARABILI Simone De Beauvoir

LE INSEPARABILI, di Simone De Beauvoir (Ponte alle Grazie)

Quando andavo al liceo, il mio sogno era quello di avere un rapporto di coppia modello Simone De Beauvoir Jean-Paul Sartre. Ma nel mio rapportarmi con i ragazzi ero un vero disastro. Mi ricordo che non avevo le idee chiare sui libri da leggere. Invece loro sì. Mi regalavano libri che puntualmente non leggevo. Li trovavo noiosi o lontano dal mio mondo immaginario. Se fra questi libri troneggiavano autori come Tolkien, Kerouac, Sarte, Camus, Pirsig, Bellow, Fante solo per citarne qualcuno, nessuno dei miei amici mi ha mai incoraggiata a leggere le autrici, che poi sono diventatate il fulcro della mia formazione di donna.

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Virginia Woolf, Simone De Beauvoir, Lidia Ravera, Elena Gianini Belotti, Angela Davis, Betty Friedan, Erica Young, Germaine Greer, Adrienne Rich, Sylvia Plath, H.D. Muriel Rukeyser, Marianna Moore e tante altre ancora. Sono solo alcuni dei nomi, fra quelli che mi hanno aiutata a capire chi ero. Grazie a queste letture al femminile, ho iniziato a percepire il mio desiderio di emancipazione, di ricerca identitaria. Non è facile, non è scontato. Come dice Simone De Beauvoir: “Donna non si nasce, si diventa”. L’invenzione di sé accompagna il personaggio fino alla sua morte, l’individuo fino alla fine dei suoi giorni.

L’esistenzialismo propone questo: una costruzione che non finisce mai e che lotta sempre contro il pregiudizio che in De Beauvoir è duplicato rispetto a Sartre: lei è donna e lui è uomo, nella mente collettiva lei appartiene al sesso che fa figli e lui appartiene al sesso che genera il genio. Genio, parola di genere maschile, in antitesi sin dal suo significante con le funzioni, addebitate alla donna, di figlia, moglie, madre, procreatrice assoggettata in tutto e per tutto all’uomo. In una ricerca costante che Simone De Beauvoir esprime attraverso la scrittura, ma anche in scelte di vita forti e coerenti come quelle di non sposarsi, non convivere, non fare figli, bisogna, ahimè, lottare anche contro l’amore, sentimento incontrollabile che rapisce il cuore umano e s’interpone fra l’essere e la ragione. La scrittrice francese che ambiva scrivere “il mulino sulla Floss” versione di qua dalla Manica, certo non era stata risparmiata. Sin da bambina era stata travolta da un amore potente. Quello di Simone per Zaza, soprannome di Elisabeth Lacoin nella vita reale, di Sylvie per Andrée in questa novella venuta alla luce editoriale solo ora, nonostante fosse stata scritta nel 1954, anno in cui “I Mandarini” ricevevano il Premio Goncourt. Perché così tanto tempo? Forse perché era un grande dolore per Simone De Beauvoir disseppellire questo amore infantile, che svela sin da allora la sua natura ribelle e anticonformista. Viene usato un’altra definizione: “amicizie amorose”, “amitiés amoureuses”.

Esiste qui una sottigliezza emotiva che non è di facile dominio. Non tutti sono in grado di percepirla. Definire questo libro, la storia di un amore lesbico è un pensiero rozzo, incompleto e non veritiero. Si narra in questo breve romanzo le difficoltà enormi che le due protagoniste incontrarono nel periodo difficile della crescita. Così difficile, da includere la morte. Muore Andrée, ma per certi versi muore anche Sylvie, pur continuando a vivere, colpita al cuore di ciò che conta per lei. “Le Inseparabili” racconta questa grande perdita, facendone il cardine della condizione femminile nel secolo scorso: qui vediamo la donna intrappolata fra le due guerre, a fare i conti con le ferite di un primo conflitto mondiale, nella completa inconsapevolezza di quelle che porterà una seconda guerra mondiale in agguato.

Una donna che, come esprime la tragica fine di Andrée (Zaza), era completamente schiacciata dagli altri, a cominciare dai genitori, succubi a loro volta dei principi rigidi di una società borghese, cattolica, benpensante e maschilista. Principi così ben inculcati nella madre di Andrée / Zaza, da fare di lei il maggior nemico. Il conflitto interiore di Andrée è la battaglia titanica che è costretta a combattere contro se stessa e l’amore che ha per sua madre. Un amore portatore di morte, mentre l’amore per la madre dovrebbe garantire la vita. La madre di Andrée è per antonomasia la raffigurazione della rassegnazione femminile, l’ostacolo principale all’emancipazione delle donne. Elegiaco, questo breve ma intenso testo è un inno all’amicizia, al grande amore che ci è dato vivere con le anime affini che incontriamo nel nostro percorso di vita.

In “Memorie di una ragazza perbene”, l’ultimo pensiero è per Zaza e quello che sarebbe stato il loro avvenire se una società benpensante, cattolica e rigida non avesse minato la loro amicizia. La libertà ha prezzi alti. Jean-Paul Sartre per difenderla rinuncia al Nobel e Simone De Beauvoir chiude il primo volume autobiografico dicendo: «insieme avevamo lottato contro il destino fangoso che ci aspettava e ho pensato a lungo che avevo pagato la mia libertà con la sua morte.» Purtroppo è così, vietato vivere la passione dei propri sentimenti; doveroso invece soccombere ai dettami del pensiero dominante, di cui i genitori sono i primi detentori. «La tomba era ricoperta di fiori bianchi. Oscuramente capii che Andrée era morta soffocata da quel biancore. Prima di prendere il treno depositai sopra quei mazzi immacolati tre rose rosse.» (p.154) Con queste tre rose rosse di Sylvie, Simone De Beauvoir colloca sopra ogni cosa il valore dell’essere, oltre la religione, il matrimonio, la maternità. Oltre la morte.

E se l’amore, etimologicamente è proprio l’espressione opposta della morte, a-mors, soltanto abitandolo, sfuggiremo alle imposizioni sociali che si pongono fra il sé e la propria esistenza. La separazione è attribuita erroneamente alla morte; ciò che ha separato le amiche inseparabili, è ben altro: sono gli altri, quelli che hanno soffocato l’io di Andrée, che non avrebbe comunque mai vissuto pienamente un destino non scelto da lei. Simone ha trattenuto fino alla sua morte il significato della scelta del proprio destino, anche per chi come Andrée- Zaza ha visto come traguardo ineluttabile l’auto-flagellazione e la fine delle proprie sofferenze nella morte stessa.

Recensione di IO LEGGO DI TUTTO, DAPPERTUTTO E SEMPRE. E TU? di Sylvia Zanotto

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