RECENSIONE DEFINITIVA – L’ AMICA GENIALE, di Elena ferrante
Leggere, la cultura, l’educazione, sono le uniche medicine valide per vincere i mali dell’esistenza; i soli mezzi che incanalano la vita al meglio, al bene, all’amore.
In estrema sintesi, questa e solo questa, è l’essenza de “ L’amica geniale” di Elena Ferrante.
Non esiste nulla al mondo che, come e più di un buon romanzo, possa descriverci al meglio, e con interesse crescente, insistente curiosità e nitida efficacia, l’intera esistenza di una persona.
Un libro può raccontare in modo laconico ma lapidario un grande intervallo di tempo, un numero incredibile di eventi, di fatti, di cambiamenti, accompagnati dai pensieri, dalle riflessioni, dai dialoghi, dagli umori dei protagonisti, che scandiscono così tutte le loro stagioni di vita: l’infanzia, la crescita, la maturità e l’epilogo dell’umana esistenza.
Se poi tale descrizione avviene con cura estrema, e con tale incanto da ammaliare il lettore, intrattenendolo, interessandolo, emozionandolo, se poi gli si descrive non una sola esistenza, ma due, ecco che di libri ne servono appunto due; e se il romanzo, come in questo caso, scruta, indaga e descrive non solo la vita ma tutto l’animo, lo spirito, l’intenzione, l’indole delle protagoniste, allora i due libri si elevano alla potenza di due, diventano quattro.
Raffaella Cerullo, detta Lina o Lila, figlia di un ciabattino, o meglio di uno scarparo, come si dice in napoletano, ed Elena Greco, detta Lena o Lenù (diminutivo di Elenuccia), figlia di un usciere del comune, sono le protagoniste uniche e assolute non del solo romanzo, ma dell’intera quadrilogia con cui Elena Ferrante racconta una storia che si snoda in oltre mezzo secolo di vita, dai primissimi anni ’50 fino ai giorni odierni. Una storia che si svolge a Napoli, in uno dei quartieri più poveri e degradati della città, ma che avrebbe potuto benissimo svolgersi, con pari efficacia, nelle desolate borgate romane, le stesse dove sono ambientati “Ragazzi di vita” e “Una vita violenta” di Pier Paolo Pasolini, oppure nelle opprimenti case di ringhiera dell’hinterland milanese e nei tuguri sui navigli descritte da Giorgio Scerbanenco, oppure ancora nel popolare quartiere fiorentino di San Frediano di cui ci parla Vasco Pratolini; e non a caso citiamo luoghi e autori, perché a tali scrittori è senz’altro accostabile il nome e il valore letterario di Elena Ferrante. Un poker di libri, ciascuno dei quali interessa le quattro stagioni di vita delle protagoniste: “L’amica geniale” contempla l’infanzia fino alla prima giovinezza, “Storia del nuovo cognome” si svolge durante l’adolescenza, “Storia di chi fugge e chi resta” interessa la maturità, l’ultima stagione di vita è richiamata in “Storia della bambina perduta”. Un poker di libri necessario per l’esaustività dell’opera, e per l’ampio periodo in cui si snoda la storia, ma non altro; Elena Ferrante, nonostante le apparenze o il numero di pagine vergate, è una scrittrice di rara sintesi ed efficacia, scevra da ridondanze e ripetizioni, una scrittrice essenziale ed esauriente insieme, già questo un pregio unico e raro nel panorama letterario.
“L’amica geniale” tira la volata agli altri tre che seguono; esso è forse il più bello, il più incisivo, magari i romanzi successivi vivono soprattutto di luce riflessa dal primo libro della serie, ma l’intera storia merita, si fa leggere volentieri, è una buona storia ben raccontata, è una perla della contemporanea letteratura italiana.
Il lettore s’incanta, resta avvinto, affascinato dalla storia, come sempre dovrebbe succedere alla lettura di un buon libro; ma la Ferrante riesce in un di più, crea quell’atmosfera per cui, girata l’ultima pagina, ci si spiace, ci si resta male, si vorrebbe saperne di più, leggere di più, continuare a stare vicino alle protagoniste, seguendone le vicende direi in religioso silenzio, compartecipazione e trepidazione insieme.
Elena Ferrante non scrive una storia romanzata, fa romanzo della vita, perciò ciascuno è indotto, attraverso il racconto dell’esistenza più spesso misera ma sempre accesa di speranza di Lila e Lenù, a riconsiderare le proprie miserie e i propri agi, le proprie scelte e i propri pensieri, a rievocare i sogni realizzatisi o no, a fare racconto di sé, raccontarsi e redimersi, se si vuole, o semplicemente riconsiderarsi. Ognuno di noi reca in sé un amico geniale, la parte migliore di sé stessi.
Spesso, l’unico che ci piace.
Recensione di Bruno Izzo
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