LE NOSTRE ANIME DI NOTTE, di Kent Haruf (NNE)
Recensione 1
“Mi chiedevo se ti andrebbe qualche volta di venire a dormire da me.
In che senso?
Nel senso che siamo tutti e due soli. Io mi sento sola. Penso che anche tu lo sia. Mi chiedevo se ti andrebbe di venire a dormire da me, la notte. E parlare.”
Colei che fa questa proposta (ad un uomo) è una donna di settant’anni, vedova, una donna che avverte improvvisamente tutto il peso “dell’urgenza”, del tempo che sta per finire, dei programmi a breve scadenza.
Una donna che ha vissuto abbastanza, che ha conosciuto il dolore più grande in assoluto, ha sofferto, ha accettato (con dignità) il tiepido calore di un amore ormai spento, e finalmente si trova nella posizione di poter scegliere di non avere rimpianti, di infischiarsene dei pregiudizi e del perbenismo della gente, di chiedere sfacciatamente alla vita una cosa di cui sente di avere diritto: una piccola felicità.
Una voce dolce a cui raccontarsi la sera, una mano da stringere nel buio della notte…
Quanta dolcezza, tristezza, malinconia…e quanto coraggio.
Mica facile rimettersi in gioco quando la vita sembra già averti dato e tolto tutto, mica semplice combattere contro l’ottusità di chi, avendo ancora tanto futuro davanti, non capisce il linguaggio dell’urgenza, del “prima che sia troppo tardi”.
Il finale è, per me, molto simbolico e significativo: quando sei certo di essere nel giusto, quando senti di dovere a te stesso quel che resta della felicità…alla fine un modo lo trovi.
E il freddo della notte fa di nuovo un piccolo passo indietro.
Haruf ti tocca piano, ma lascia il segno.
Anche stavolta.
(Ciao Holt, mi mancherai…)
Recensione di Antonella Russi
Recensione 2
“ …stiamo continuando a parlare.Fin quando potremo.Finchè dura…”
“Le nostre anime di notte” di Kent Haruf pubblicato in Italia nel 2017 da NN Editore, scritto negli ultimi giorni della sua malattia ed uscito postumo, è da considerarsi un vero e proprio testamento spirituale dell’autore della famosa “Trilogia della pianura”. Lo scenario, ancora una volta, è quello dell’immaginaria cittadina di Holt nel Colorado.
Qui Addie Moore, un’anziana vedova, soffre di solitudine e le sue notti sono interminabili, legate ad angosce e ricordi che non riesce ad allontanare dal suo cuore. Sarebbe tutto più semplice, tenero e liberatorio se tutti i suoi pensieri, le sue incertezze e le sue difficoltà potessero essere spartite con un’altra persona nella speranza di una catarsi capace di regalarle almeno dei sonni tranquilli.
E’ così che le viene l’idea di invitare Louis Waters, anziano e vedovo anche lui, il suo vicino di casa, a trascorrere le notti da lei, per farsi compagnia e condividere nello stesso letto le parole delle loro vite, i loro timori e i loro affanni nelle ore più difficili del buio. Inizia così una storia inaspettata di affetto, premure, amicizia e amore.
Ma la comunità di Holt e i figli della coppia sono pieni di pregiudizi e non riescono ad accettare la relazione di Louis ed Addie, considerandola scandalosa, spregiudicata e poco consona alla loro età anagrafica. Solo il piccolo Jamie, nipotino di Addie, figlio di suo figlio Gene, un bambino sensibile di appena sei anni con una situazione familiare economicamente e sentimentalmente instabile, riuscirà ad abbracciare e gradire quella coppia di nonni che sanno tanto bene supplire alle carenze dei suoi genitori.
Ma i preconcetti sono duri a morire, le errate credenze persistono, le voci corrono inesorabili e i due protagonisti si troveranno a dover fare delle scelte difficili.
La solitudine, vera protagonista del libro, fa sentire incessantemente la sua voce soprattutto in un’età avanzata come quella di Addie e Louis che vorrebbero affrontare meglio il difficile percorso dell’ultima parte della loro vita, guardando in faccia con coraggio il passato, facendo un bilancio delle proprie esistenze, affrontando con determinazione e umanità la paura della fine e scoprendo che è ancora possibile provare dei sentimenti e donare emozioni nelle azioni quotidiane e solo apparentemente piccole che vengono compiute.
La solita scrittura di Haruf, scorrevole e chiara, i tanti dialoghi interrotti da piccole parti descrittive, rendono il libro delicatissimo e fragile, un continuo “carpe diem” di brevi istanti felici che, se annodati insieme e resistenti alla meschinità della gente e all’egoismo della famiglia, possono rendere dolce anche la consapevolezza di una fine imminente.
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