Trilogia di Holt: Benedizione-Crepuscolo-Canto della pianura, di Kent Haruf (NNE)
Sono tornata ad Holt. Mi sono seduta sulla panchina davanti al Wagon Well Cafè e sono rimasta ad aspettare guardando le montagne verdi lontane. E’ passato un bambino, DJ che insieme a Dena, una bimbetta vivace, tirava un carretto con sopra un tappeto lurido, il loro tesoro. Ho visto la stessa macchina sfrecciare da lì varie volte, la macchina di Rose, l’assistente sociale, a volte da sola, altre volte in compagnia di ragazzini o di adulti.
C’era la tristezza nel suo sguardo e la stanchezza di una vita passata a vedere quanto può essere turpe l’animo umano. Il sole è calato, fa freddo adesso, si gela, le strade polverose si sono svuotate. DJ passa veloce con il nonno, imbacuccati per ripararsi dalla neve che comincia a gelare. Vedo il furgone di Raymond, adesso lo si vede più spesso in città, da solo o a volte in compagnia. E’ tornata Victoria, ha gesti consapevoli, da madre decisa ma amorevole. Ci sono storie di miseria, come quella di Luther e Betty, e ancora di solitudine come Mary Wells, abbandonata dal marito e costretta a crescere le due piccole figlie da sola, c’è la morte, dolorosa, triste.
Ma nessuno si perde d’animo e in questo freddo angolo di mondo la vita è più forte della morte, l’amore più forte della solitudine, la gentilezza cresce come un fiore brillante contro tutta la violenza che ha attorno. La vita continua. Dopo la giornata di sole, scende la sera, dopo la nascita si cresce e viene il momento della vita in cui ogni cosa si tinge di quel colore tenue, e si muore. Il secondo capitolo è in qualche modo per me un inno alla vita. A non arrendersi, a trovare il bello sempre in ogni cosa.
E a resistere, sempre e nonostante tutto. Non c’è più la musica lenta del primo. Qui è una sinfonia di emozioni. Unica certezza: non si può abbandonare Holt una volta arrivati. Ha una malìa che ti strega.
Recensione di Luciana Galluccio
CANTO DELLA PIANURA
Non sapevo cosa aspettarmi da questa lettura. Ne avevo sentito meraviglie e di solito quando un libro è così osannato, nell’ultimo periodo almeno, ho paura a cominciarlo, preferisco un po’ immaginarlo al caldo, sperare che in qualche modo le speranze non vengano disilluse, finché la curiosità è tale che non posso più aspettare e i tempi divengono maturi.
Haruf è tanto che mi aspetta. Ed è stato un incontro bellissimo. Uno sbirciarsi da parte a parte di una sala da ballo, e poi mentre la serata trascorre trovare un pretesto per ballare insieme. Holt ha tanti occhi e conosce tante storie.
Tom e Ella in crisi matrimoniale, i loro figli Bobby e Ike, ragazzini solitari che vivono nella natura, Victoria, adolescente incinta e abbandonata da tutti e poi i due fratelli McPheron, i giganti buoni. La solitudine è un filo conduttore di tutti i personaggi, solitudine di pensieri a volte, come Tom, solitudine fisica negli altri casi ma che si attacca addosso come una coperta bagnata.
La prosa è un incanto, semplice e sinuosa scivola nell’anima e la acquieta come un balsamo. La storia è un respiro lento e per questo diventa subito parte integrante dell’io lettore. Ed è questo respiro il canto della pianura che sento nelle pagine che avanzano, le note lunghe, le pause, il riaccendersi del suono come la vita che scorre.
Recensione di Luciana Galluccio
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TRILOGIA DI HOLT: BENEDIZIONE-CREPUSCOLO-CANTO DELLA PIANURA Kent Haruf
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