Intervista a Svevo Ruggeri, autore del testo “Il palazzo delle ombre”
- Quando e come è nata la passione per la scrittura? Qual è la prima cosa che lei abbia mai scritto? Che ricordo ne ha?
La passione per la scrittura è stata sempre presente in me, sin dall’adolescenza. Mi piaceva estraniarmi durante le noiose lezioni a scuola (forse non lo erano completamente, ma in quel periodo amavo essere drastico) e riempivo mini bloc notes con idee e spesso con interi capitoli di racconti che poi non ho mai davvero sviluppato. Poco dopo i vent’anni, ho incominciato a seguire corsi formativi in scrittura, conseguendo attestati utili alla certificazione di autore, ma anche in quel momento non ero pronto per un componimento compiuto, se non quelli scritti per le varie esercitazioni. Il primo vero racconto di circa un centinaio di pagine l’ho scritto per sfogo, dopo un grave lutto che aveva colpito la mia stretta cerchia di affetti familiari. Non ebbe fortuna, se non con case editrici pronte a chiedermi contributi, e perciò rimase chiuso in un cassetto.
- La sua opera prima è del genere “Thriller soprannaturale”, pensa che continuerà su questo genere? Altrimenti quale genere le piacerebbe affrontare? Perché?
Esattamente, il “Palazzo delle Ombre” ha proprio questa connotazione, ed è fortemente caratterizzato dal mistero. Credo che questo genere sarà sempre presente nei miei scritti, perché è una condizione del mio animo quella di cercare il “non detto”, vivere emozionalmente il celato. Sono profondamente convinto che esistano molte realtà nell’invisibile, e son certo che seppur di difficile comprensione, esistano dei varchi nella nostra realtà, che consentano l’accesso in ciò che mi piace definire come “Oltre”. Come spesso affermo nelle presentazioni del romanzo, abbiamo un perfetto orientamento all’interno dei nostri cinque sensi, che determinano il nostro mondo, le azioni che compiamo, i panorami che ammiriamo… ma c’è il sentire, il provare, il percepire che hanno un’eco profonda nel nostro animo, che sfugge dal dogmatismo dei cinque sensi, che sono certamente utili, ma probabilmente anche un limite.
Per ciò che riguarda gli altri generi, è possibile che li affronterò amalgamandoli al mistero, come già fatto nel primo romanzo, così da rendere godibile e dinamico il messaggio che voglio comunicare, oltre a rendere frizzante la stesura per me. Mi piacerebbe affrontare digressioni di genere storico, senza la rigidità e il vincolo dei fatti storici, ma ambientazioni utili al prosieguo della narrazione del romanzo, che comunque cercherò sempre di attualizzare nel nostro presente. Digressioni, flashback, fatti accaduti in epoche diverse che si compenetrano con l’attualità dell’odierno.
- Nel suo testo si parla di “metempsicosi”, ovvero la reincarnazione dell’anima secondo alcune credenze religiose. Il suo è un vezzo e un approfondimento letterario o crede in tale dottrina? Perché?
Il mio è un interesse. Qualcosa che mi affascina. Pensare che esista un percorso di perfettibilità dell’anima è davvero entusiasmante, perché rende l’anima imperfetta a priori, che non può fare a meno di attualizzarsi nelle vite imperfette e in corpi imperfetti. È una sorta di sentiero che sì ramifica in un tempo infinito alla ricerca di una meta forse chimerica. A me piace molto questo concetto di orizzonti in continua espansione e mete evolutive pressoché sconfinate.
- Il protagonista del suo romanzo, Norman Lanzaldi, è un uomo che si auto definisce “anacronistico”, ovvero si sente fuori tempo e piuttosto diverso rispetto alla massa. Quanto c’è di Svevo Ruggeri in Norman Lanzaldi?
In Norman c’è molto di Svevo, ma uno Svevo grezzo, come quello di diversi anni fa. È un’immagine riflessa su uno specchio incrinato, che tengo ancora viva in me come tappa evolutiva, ma che non mi descrive più. Ma dirò di più, in ogni personaggio trattato nel romanzo “Il Palazzo delle Ombre”, c’è qualcosa di me, siano esse esperienze o frasi o modi di pensare, e non c’è distinzione di classe sociale o di sesso. Tutti quanti i personaggi hanno qualcosa di me, e non perché li ho immaginati e descritti io, ma perché c’è un rapporto viscerale tra me e il mio romanzo, anche attraverso la storia dei protagonisti e dei comprimari.
- Nel suo testo più volte viene vista e ripresa la bellezza di Roma. Quanto è legato alla sua terra? Al di là dei monumenti frequentemente visti dai turisti, qual è il luogo, il monumento, la cosa che si sente di consigliare a chi visita Roma per la prima volta?
Amo Roma in maniera profonda e viscerale. È enigmatica, affascinante, giocosa e spietata. Ha bellezze che tutti conoscono, ma ciò che mi piace di più è il suo respiro: ha echi millenari. È stata invischiata nell’evoluzione dell’uomo, e di ogni periodo porta testimonianza, come un abito ricco di cui si fregia, con orgoglio. Non c’è una città che le si può paragonare perché è specie a sé. Conosco molti luoghi fuori dai classici giri turistici, ed è proprio lì che il suo antico respiro si avverte senza posa. Non voglio suggerire un posto, bensì un approccio: bisogna girarla a piedi, lungo il suo ampio centro storico, ad un orario in cui gli schiamazzi si sopiscono… quel momento che si fonde tra la tarda notte e il primo mattino. Quando si ha il favore del silenzio avviene una magia, i vicoli, le piazze, le fontane, i monumenti, le chiese, le rovine dell’Impero, smettono di farsi mirare e incominciano a bisbigliare. È una percezione che crea una sospensione dalla realtà, per giungere a un profondo sentire, fatto di emozione, bellezza e unicità. In quel preciso momento Roma si connette a te, e tu sei perso in lei… per sempre.
- Cosa c’è in “Il Palazzo delle ombre” che in altri libri non c’è? A chi consiglia di leggere il suo testo?
Trovo questa domanda complessa. Ho sempre molto rispetto per gli altri autori perché conosco il lavoro che c’è dietro la stesura di un’opera. Credo che ogni romanzo, di un certo livello, abbia tra le sue pagine qualcosa di prezioso che lo caratterizza. Poi c’è il gusto personale che interviene a sancire se quello scritto è unico e irripetibile. Nel mio romanzo io offro un’esperienza, un’occasione di porsi domande, che spesso rimangono latenti in noi, sul senso della vita e della morte, sull’amore, sul credo religioso, sui rapporti umani. Do un’interpretazione a me cara, in cui l’ignoto è il pane quotidiano della nostra esistenza, anche se agiamo ed edifichiamo nel noto. Descrivo ambienti e situazioni che vanno oltre il pragmatismo del “visto”, e si introducono nella verità del percepito, che è di per sé mutevole e differente a seconda della cultura di chi legge. È con convinzione e fermezza che affermo che il mio romanzo ha in sé diversi livelli interpretativi che possono essere colti o meno, a prescindere dalla godibilità della narrazione degli avvenimenti.
“Il Palazzo delle Ombre” è una lettura che consiglio a tutti perché ha elementi narrativi trasversali che possono soddisfare gli amanti di diversi generi letterari. Tuttavia mi preme avvisare il lettore che non si troverà di fronte ai dogmatismi delle letteratura di genere, ma ad un’opera che va oltre e nell’oltre per sua stessa natura.
- Tra Norman Lanzaldi e Marie Claire, sembra esserci un’intensa passione, senza tuttavia riuscire a culminare in un rapporto solido e ufficiale. Perché secondo lei spesso si ha paura d’amare?
Amare è energia allo stato puro, e spesso ha a che fare con l’irrazionalità. È un sentimento travolgente che mina, se non addirittura distrugge, le sovrastrutture in cui ci chiudiamo un po’ per indolenza, un po’ per abitudine. L’amore annienta le quattro mura del nostro comodo rifugio, e questo mette paura. C’è timore di abbandonarsi a un sentimento che non possiamo domare e c’è la paura di lasciarsi trasportare senza indugi. L’amore mette in luce ciò che viene definito come fragilità dai più, e il fatto di convogliarlo verso una specifica persona, in parte rasserena, perché quella persona è degna della nostra irrazionalità, ma al contempo è colpevole di averci fatto perdere la testa. È questo doppio valore che si dà alla persona oggetto del nostro amore che mette ordine, ma è un principio fuorviante, perché se si ama non c’è alcuna pecca, né colpevolezza, e di fatto l’irrazionalità non può avere ordine. L’amore, in qualsiasi età della vita, può essere anche faticoso e complesso, perché spinge la persona a fare tabula rasa dei propri validi convincimenti e a ripartire da zero, scoprendosi anche profondamente diversa da ciò che presupponeva di essere. Ecco, tutto ciò è meraviglia per alcuni, e fa tremare le gambe ad altri, e non sono poi molti quelli disponibili all’abbandonarsi pienamente ad un’energia dirompente che non si sa da dove provenga, né tantomeno dove porti. La gente non ama e non si abbandona per comodità, convinta che saper imbrigliare quell’energia sia sintomo di intelligenza, scaltrezza e che dia immagine di forza. La vera forza e il vero coraggio, invece, è nell’accettare i propri sentimenti e nell’abbandonarsi a ciò che avviene e accadrà, coscienti del fatto che non si potrà fare nulla di diverso che vivere ciò che è, perché ogni attimo vissuto in amore, è nutrimento inestimabile.
- Uno dei personaggi, Marta Ranieri si riscopre medium. Crede nelle capacità di taluni di dialogare o vedere persone dipartite?
Io credo che ci siano delle dimensioni differenti e credo che ci siano dei portali per accedere a queste dimensioni. Credo che alcune persone abbiano sensibilità profonde, o forse addirittura altri sensi oltre i cinque riconosciuti, e che possano accedere ad altre dimensioni. Non so dire se esista la possibilità di dialogare con persone dipartite, perché questo dovrebbe presupporre che ci sia qualcosa da voler comunicare. Non sono certo che chi è ora in un’altra dimensione voglia davvero dire qualcosa, ma so che chi è rimasto nella nostra lo vorrebbe tanto. Credo che il senso e il dolore relativo alla morte sia più una condizione che riguarda chi è rimasto, mentre l’anima, l’energia vitale, lo spirito di chi è andato Oltre siano totalmente impegnati nella nuova avventura. Forse hanno ricordi, o forse sognano, e forse è proprio nei ricordi e nei sogni che possiamo incontrarli ancora, a prescindere se ce lo ricordiamo o meno. Ma ho una mente aperta e in evoluzione, e forse ciò che scrivo in questo momento, non sarà il mio pensiero di domani.
- Se potesse entrare realmente nel palazzo di Bartolomeo De dossi, qual è la stanza che le piacerebbe visitare? Perché?
Tutte, ovviamente… ma ne scelgo due, per rispondere alla domanda: la biblioteca e la sala della musica. Perché? Beh, suonare uno strumento o ascoltare chi sa farlo e leggere migliaia di meravigliosi libri penso possa dare senso alla nostra esistenza.
- Cosa ha provato quando finalmente la sua opera prima è passata dall’essere in un cassetto fino a raggiungere gli scaffali di una libreria?
Arrivarci è stato un percorso lungo e tortuoso, e per molti versi estenuante. Ho vissuto la meraviglia di comprendere di saper scrivere un romanzo complesso e l’indifferenza degli addetti ai lavori… per me inconcepibile, ovviamente. Ma ho creduto e credo ancora nelle mie qualità e nel mio scritto, e alla lunga il traguardo è arrivato. Ho provato l’euforia della consacrazione, cosciente del fatto che non è mai semplice immettersi nel mercato, ma anche che si è concretizzato il mio più grande desiderio: quello di essere letto e apprezzato dal pubblico.
- Quali sono i suoi progetti letterari futuri?
Visto lo splendido successo che sta avendo “Il Palazzo delle Ombre”, la mia casa editrice Spirito Libero mi ha commissionato il secondo capitolo, del resto il romanzo è pieno di spunti per poter riprendere le trame del discorso, e così sto facendo. Non voglio dare una precisa data di uscita, ma conto che entro la prima metà del 2024 il nuovo romanzo potrà vedere luce.
Intervista di Lisa Di Giovanni
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