Abbiamo intervistato lo scrittore Orso Tosco con cui abbiamo approfondito il suo “Pinguino delle Langhe”

Abbiamo intervistato lo scrittore Orso Tosco con cui abbiamo approfondito il suo “Pinguino delle Langhe” e fatto una panoramica di alcune delle sue opere principali con interessanti parallelismi con la realtà contemporanea.

 

 

Per prima cosa le chiederei di presentarci il suo ultimo romanzo “L’ultimo pinguino delle Langhe”.

Si tratta di un noir con cui ho voluto omaggiare un territorio e un paesaggio, e più in generale di una storia con cui ho cercato di celebrare la forza sghemba della provincia italiana, che a mio avviso è una grande creatrice di immaginazione e stranezza e, al tempo stesso, un luogo mentale che può rivelarsi incredibilmente cupo e feroce. Tra questi due poli opposti hanno trovato spazio il crimine che dà il via all’investigazione e il viaggio necessario per arrivare a una sua risoluzione, seppur parziale.

 

Con quali aggettivi descriverebbe il commissario Gualtiero Bova?

Il Pinguino è un uomo che ha reagito all’ingiustizia del mondo e alle sue storture, opponendosi tramite un proprio sistema di valori piuttosto bizzarro, un sistema fatto di passioni intime e taciute, abitudini ferree e inspiegabili, dolcezze tenute nascoste e sarcasmi esibiti. Credo si tratti di un uomo tutto sommato innamorato del mondo, ma portatore di un amore dolente, affaticato e ammaccato, che si sente costretto a nutrire con l’ironia più amara.

 

Orso Tosco

 

Quali sono gli elementi e/o gli scrittori che l’hanno ispirata nella creazione di questo personaggio dalle tante sfaccettature?

Io penso che le influenze abbiano sempre una loro vita segreta, che resta nascosta in special modo agli occhi di chi quelle influenze le subisce. Per questo trovo molto stimolante il confronto con le lettrici e i lettori, perché spesso sono proprio loro a far luce sul vero albero genealogico dei mie personaggi e delle mie storie. Se invece dovessi citare le influenze che mi sembrano più evidenti rileggendo il Pinguino, dovrei fare i nomi  di Fruttero e Lucentini, Piero Chiara, Mario Soldati, Massimo Carlotto e Grazia Verasani, e poi quelli di Léo Malet e George Simenon, Jean-Claude Izzo e Fred Vargas

 

Massimo Carlotto una volta disse che il Noir rappresenta ad oggi il nuovo romanzo di inchiesta. Lei condivide questa posizione?

Sì, sono d’accordo con Massimo. Penso che per sua natura il noir possieda le caratteristiche necessarie per prendere dei rischi, senza i quali nessuna inchiesta potrebbe mai davvero valere qualcosa. Ma questo credo che sia un discorso valido per tutta la letteratura normalmente definita di genere: è quasi sempre lei a infilarsi nelle situazioni più problematiche e rischiose, spessissimo uscendone con le ossa rotte ma alle volte, e sono i casi che aprono la via agli altri, mostrando nuovi e inaspettati sguardi sul mondo.

 

 

 

Sono sempre più frequenti i romanzi scritti a quattro mani o nei quali altri scrittori “prestano” i propri personaggi. C’è un autore con cui le piacerebbe collaborare?

Visto che ho sempre avuto l’impressione di adottare uno stile o un approccio molto legato all’aspetto visivo, visuale e allucinatorio, mi piacerebbe moltissimo collaborare con un o una fumettista.

 

Guardando a un’altra sua opera, “London Voodoo”, troviamo una serie di attentati e fatti di sangue insensati nel cuore di Londra. Quali elementi di questa storia ritrova nel concreto nella nostra realtà contemporanea, tenendo conto di tanti fatti apparentemente inspiegabili che occupano le pagine dei nostri giornali?

Penso che tanto nella cosiddetta realtà quanto in London voodoo, i fatti di sangue in apparenza inspiegabili siano davvero tali solo se si tenta di decifrarli isolandoli, quando invece li si legge come parte di una dimensione più ampia, quando ci si sforza di integrarli nella vera o presunta normalità, allora è possibile comprenderli. Temo però che la politica, o ancora meglio la gestione del potere e della paura, favoriscano un approccio schizofrenico: da un lato mostrandosi estremamente razionali quando si tratta di numeri legati alla maggioranza della popolazione, vedi i soldi che sempre mancano per la sanità e per l’istruzione mentre si trovano per gli armamenti, e dall’altro lato puntando su reazioni esclusivamente emotive quando si tratta di regolare la vita quotidiana appiattita per lo più sui fatti di cronaca, specialmente di cronaca nera. Questo approccio si nutre con grande godimento della violenza apparentemente insensata, anzi ne ha bisogno, perché senza quel tipo di violenza sarebbe costretto a mostrarsi per ciò che davvero è.

 

 

 

 

In “Aspettando i naufraghi” troviamo come protagonisti persone alla deriva che trovano l’impulso a distruggersi o a sopravvivere nel sostegno reciproco. Quanto può essere dannosa o salvifica la dimensione “gruppo” e quanto questa può condizionare l’individuazione di una persona?

Il gruppo è la prima forma di comunità che sperimentiamo nelle nostre vite, e di norma segna il momento più importante e in apparenza casuale, quello della giovinezza. In base alle nostre esperienze in questa fase dell’esistenza ci formiamo e deformiamo spesso a nostra insaputa. Il gruppo quindi funziona come un perimetro da superare o da fortificare, come uno specchio in cui osservarsi o da evitare, e come una sponda contro cui rimbalzare o che decidiamo di sfondare. Può condannare o dare un senso, e proprio per via di questa sua natura sfuggente, la vita è spesso un gioco meraviglioso e mortale.

 

I Social sono senza dubbio uno spazio di condivisione ma anche di contrasti più o meno civili, qual è il suo rapporto con questa realtà?

La possibilità di ricevere suggerimenti, suggestioni e materiali da persone e contesti geograficamente distanti mi sembra una grande ricchezza. La parte conflittuale o polemica del mezzo invece mi vede estremamente pessimista. Non ritengo i social adatti per nessun tipo di dibattito polemico. Funzionano bene i monologhi, gli sfoghi, oppure, nei casi più interessanti, le condivisioni appassionate. Quando invece si tenta di utilizzarli con finalità polemiche, ho quasi sempre l’impressione che producano una quantità enorme di rumore effimero e di brevissima durata. E naturalmente non perché manchino i motivi per indignarsi, ce ne sono fin troppi, ma perché si tratta di meccanismi inevitabilmente governati ad orologeria: quando seguo certe polemiche ho l’impressione di assistere ad un folto gruppo di persone che tenta di dar fuoco ad un edificio immenso con mezzo fiammifero, sono tutti presenti quando il fiammifero si accende, e sono tutti già andati verso il rogo successivo quando il legnetto si spegne, emanando un semplice ed esile filo di fumo.

 

 

 

 

Come ultima domanda per tornare al “pinguino delle Langhe” le chiedo se ha già in mente o in cantiere altre avventure con questo personaggio.

Il Pinguino nasce con l’idea di svilupparsi in modo seriale, per questo vi è una prima indagine con un inizio e una fine, ma al tempo stesso ci sono altre linee narrative che per svilupparsi avranno bisogno di nuove storie. Al momento sono al lavoro sulla seconda e devo dire che mi sto divertendo molto.

 

Intervista di Enrico Spinelli

 

L’ultimo pinguino delle langhe – Orso Tosco

L’ULTIMO PINGUINO DELLE LANGHE Orso Tosco

 

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