RECENSIONE DEFINITIVA: I FRATELLI KARAMAZOV Fëdor Michajlovič Dostoevskij

I FRATELLI KARAMAZOV, di Fëdor Michajlovič Dostoevskij

RECENSIONE DEFINITIVA: I FRATELLI KARAMAZOV, di Fëdor Michajlovič Dostoevskij

 

E’ con un malcelato quanto forte timore reverenziale che mi accingo, a poche ore dalla conclusione della lettura di questo caposaldo della letteratura mondiale, a scrivere le mie considerazioni personali su quello che è, assai probabilmente, il più bel libro che abbia avuto la fortuna di leggere in vita mia ed è con altrettanto forte intensità che spero di non offendere la sacra memoria di Fëdor Dostoevskij con le mie misere parole.

Il centro del romanzo, come forse i più arguti di voi avranno dedotto dal titolo, è la famiglia Karamazov, composta da Fëdor Pavlovic Karamazov, il dissoluto, laido, egoista e ricco pater familias; Dmitrij Fedorovic Karamazov il primogenito nato dalle prime nozze del padre, anch’esso dissoluto e sfrenato come il genitore, ma al contempo nobile e generoso; Ivan Fedorovic Karamazov, il più grande dei due fratelli nati dalle seconde nozze di Fëdor, colto, raffinato, non irruento ma comunque passionale; Aleksej Fedorovic Karamazov, il fratello più piccolo, provvisto di forte spiritualità e granitica fede in Dio, una roccia attorno alla quale questa malconcia famiglia trova la forza stabilizzante dell’amore fraterno.

Il cognome Karamazov ha insito nella sua radice lessicale un destino di perdizione (la parola dialettale karamazyj significa sporco/scuro), un seme malato che non poteva che generarsi da cotanto padre: è una promessa di dissolutezza e dannazione: “ In tutti noi Karamazov e anche in te, angelo, vive quell’insetto e scatena tempeste nel tuo sangue. Sì, tempeste, perchè la lussuria è una tempesta, è peggio di una tempesta” dice Dmitrij ad Aleksej all’inizio del romanzo.

Intorno alla famiglia protagonista orbita una teoria di straordinari personaggi secondari, ognuno dei quali, grazie alla capacità di caratterizzazione di Dostoevskij, meriterebbe un romanzo a sé stante: c’è la sensuale e selvaggia Grusenka, il cui amore è sanguinosamente conteso fra Fedor e Dmitrij; Katerina Ivanovna, bellissima fidanzata di Dmitrij, simbolo di nobiltà d’animo e forza; lo starec Zosima, monaco santo la cui vita probabilmente sarebbe sufficiente per riempire un romanzo altrettanto corposo; Smerdjakov, figlio illegittimo di Fedor e di una una povera malata di mente, vero catalizzatore della svolta nelle vicende narrate nel romanzo; Kolja Krasotkin il ragazzino nichilista che apre la strada al finale drammatico del libro e potrei citarne ancora a decine, ma non vi tedierò oltre.

La stessa ampia, complessa, appassionante vicenda giudiziaria che occupa l’ultimo quarto del libro avrebbe potuto alimentare, da sola, un’opera di altrettanto di grande bellezza.

Fin dalle prime pagine la cifra stilistica di Dostoevskij è inconfondibile grazie alla sua insuperabile capacità di dare profondità e veridicità a tutti i personaggi, anche i più marginali, senza mai prescindere dall’approccio ironico e leggero che gli è così caro: vezzeggiativi, diminutivi buffi e nomignoli compaiono anche nelle fasi più drammatiche della vicenda narrata, come se l’autore ci raccontasse tutto con un mezzo sorriso sulla bocca, come se sogghignasse delle misere vicende dei personaggi da lui creati, come se fosse un sadico ma bonario demiurgo degli universi venuti fuori dalla sua penna.

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Esempio lampante della dissacrante ironia di Dostoevskij è l’episodio della morte dello starec Zosima: quest’ultimo, un vero e proprio santo con tanto di miracoli al proprio attivo, una volta passato a miglior vita inizia, fin da subito, a emanare un odore nauseabondo come se fosse un lestofante qualunque. Da un santo ci si aspetterebbe ben altro bouquet di essenze aromatiche post mortem, magari tendenti alla rosa canina, certo non alla cadaverina! Il secondo libro termina dunque con l’esaltazione delle sante opere compiute in vita da Zosima ma il terzo inizia con il trionfo della caducità della sua carne mortale, a simboleggiare l’eterna transizione fra gli estremi che caratterizza questo romanzo.

I personaggi sono credibili, tangibili, non spiccano per eroismo o qualità positive, tutt’altro, sono piuttosto eroi di umanità, primi fra gli uomini per difetti e debolezze, veri e propri antieroi che sembrano poter vivere una vita propria anche quando il focus del narratore non è su di loro.

Fra i vari personaggi, però, ce n’è uno che, per ammissione stessa dell’autore, svolge un ruolo centrale nel romanzo: Aleksej infatti è il collante della storia, il punto di contatto fra i vari personaggi, è in sua presenza che, per la gran parte del libro, l’intreccio della trama si dipana ed è quello al quale è affidata la conclusione, quasi evangelica, del romanzo con un violento lampo di luce bianca che cancella in un sol colpo l’oscurità che regna sovrana per più di mille pagine.

Oltre alla sua indiscutibile natura di romanzo, questo libro assume più volte anche l’aspetto di un vero e proprio saggio sull’etica, con un’attenzione particolare al confronto fra la morale religiosa e quella laica. Infatti anche i passaggi apparentemente più interlocutori ospitano considerazioni etiche e filosofiche di grandissimo spessore che spingono il lettore a una profonda introspezione, pur mantenendo la leggerezza stilistica che è una delle caratteristiche peculiari dello stile di Dostoevskij, come ho già avuto modo di dire in precedenza. In tal senso vi segnalo, alla fine del primo dei due tomi che compongono il romanzo, la conversazione su Dio fra i fratelli Ivan e Aleksej: Ivan dà voce alla visione teologica razionalistica secondo la quale l’uomo non è in possesso delle capacità sensoriali necessarie per venire a capo del dilemma sull’esistenza di Dio. Questa visione assai attuale trova molti punti di contatto con la fisica moderna che va alla ricerca della struttura infinitesimale della materia e della sua essenza. I nostri sensi, tarati sulla geometria euclidea (o per meglio dire la geometria euclidea tarata sui nostri sensi) non concepiscono l’idea che due rette parallele possano incontrarsi e Dio sta proprio nelle rette parallele che si incontrano: Dio sta nel principio di indeterminazione di Heisenberg che ci impedisce di conoscere contemporaneamente posizione e velocità di un elettrone nella sua orbita attorno al nucleo, Dio sta nell’esperimento mentale di Schrodinger secondo il quale il gatto, protagonista suo malgrado della suddetta osservazione, è contemporaneamente vivo e morto, Dio sta nell’imponderabile non percepibile con i nostri mezzi.

Sempre parlando di etica cristiana, porto alla vostra attenzione le parole dello starec Zosima che a pagina 90, parlando del sistema giudiziario russo e della funzione riabilitativa della pena, così dice: “Tutti questi invii ai lavori forzati, preceduti anche da percosse, non correggono nessuno, e, soprattutto, non intimoriscono quasi nessun criminale e il numero di delitti non solo non diminuisce, ma quanto più si va avanti, tanto più aumenta. Dovete convenirne anche voi. Ne deriva che la società in tal modo non è affatto tutelata, poiché, anche se si recide meccanicamente la parte nociva e la si invia lontano, fuori dalla vista di ognuno, subito compare in sua vece un altro criminale e forse anche due”. Parole notevolmente progressiste per bocca di un uomo di fede in un libro scritto nel diciannovesimo secolo!

Una delle caratteristiche peculiari del romanzo, data dall’essenza stessa della famiglia Karamazov, è l’eterna contrapposizione fra estremi, fra visioni opposte che si incontrano e si scontrano: abbiamo dunque i forti contrasti fra i personaggi principali del romanzo, per esempio fra Fedor e Dmitrij che si contendono l’amore della stessa donna, fra Ivan e Aleksej, il primo ateo e razionalista, il secondo spirituale e dogmatico, fra Grusenka sfrenata e capricciosa e Katerina Ivanovna virtuosa e integerrima. Questi personaggi, però, non sono semplicemente delle nemesi, sono più simili al concetto di yin e yang: non esisterebbero autonomamente, per essere reali hanno bisogno dell’esistenza l’uno dell’altro, nel cuore di ciascuno di loro è presente il seme dell’esistenza dell’altro.

Senza dubbio la pietra più preziosa fra le tante che rendono questo romanzo un tesoro inestimabile è il capitolo denominato “Il grande inquisitore”, a detta di molti critici letterari forse quanto di più bello sia mai stato scritto da essere umano: al di là dell’incredibile piacere puramente estetico che si prova, ve lo assicuro, leggendo queste pagine, ciò che lascia senza fiato è l’incredibile cultura letteraria di Dostoevskij che, con una lunga serie di dottissime citazioni che miracolosamente non appesantiscono la prosa, anzi, la rendono se possibile ancor più elegante, riesamina la vicenda evangelica delle tre domande che Satana pose a Gesù nel deserto, le cosiddette tre tentazioni di Cristo. Partendo da questa analisi l’autore esamina il concetto di libero arbitrio ed evidenzia come, in soli 18 secoli di storia, la Chiesa si sia allontanata dagli insegnamenti di Cristo e di come abbia tolto agli uomini la libertà di autodeterminare il proprio futuro, ponendosi come intermediaria fra Dio e uomo, come se Dio ne avesse necessità. La Chiesa non è più con Gesù, è con il suo Avversario.

In conclusione, e scusatemi se questa volta sono stato davvero troppo prolisso, credo di poter affermare che stilisticamente parlando “I fratelli Karamazov” è forse l’opera di Dostoevskij più elevata, quella in cui tutte le caratteristiche peculiari della meravigliosa scrittura dell’autore russo toccano l’apice e danno maggior godimento al fortunato lettore. In questo libro, così lungo ma al contempo così leggiadro, tematiche etiche di grande spessore vengono espresse con levità di linguaggio e con la classica scanzonata immediatezza russa, garantendo così, per l’ennesima volta nei romanzi di Dostoevskij, che il miracolo degli opposti che si incontrano possa compiersi.

Mentre scrivo questi miei pensieri ho già iniziato un nuovo libro e il senso di mancanza è davvero insopportabile.

Recensione di Dino Ballerini

RECENSIONE DEFINITIVA: I FRATELLI KARAMAZOV, di Fëdor Michajlovič Dostoevskij

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