ZOO, di Paola Barbato (Piemme)
Recensione 1
Da una parte ho aspettato troppo dalla lettura di “Io so chi sei” e mi sono dimenticata particolari che leggendo “Zoo” mi avrebbero fatto comodo. Dall’altra… meno male! così non dovrò aspettare molto per avere l’ultimo capitolo della trilogia che dovrebbe uscire quest’anno!
I primi due volumi stanno perfettamente in piedi anche singolarmente, sono due storie gemelle che si svolgono nello stesso periodo di tempo… ma che attendono entrambe lo stesso finale che ora attendo decisamente con ansia!
Anna si risveglia in un vecchio carrozzone da circo, in un capannone. Ma non è sola. Nel carrozzone di fronte al suo ad esempio c’è il rosso, un uomo nudo che sbraita come una belva feroce.
Non solo. C’è anche la gabbia delle scimmie, della tigre, del serpente, del coccodrillo… uno Zoo di persone che ormai spogliate, a forza di privazioni, da quel che hanno di umano, rispecchiano l’animale di cui il proprio carrozzone porta il nome.
Qualcuno li spia, porta loro del cibo per farli sopravvivere, li pulisce se si comportano bene e una volta a settimana, dopo averli sedati, li sposta in modo che abbiamo sempre dei “vicini” diversi con cui interagire. E tutto questo per alcuni va avanti da anni.
Ma chi è questo loro aguzzino?
Perché sono lì?
Perché proprio Anna è stata scelta per questa sorte?
Gli altri si conoscono fra loro?
Conoscono chi li ha imprigionati?
Chi recita?
Perché non si può parlare al coccodrillo?
Chi tra loro ha dei privilegi e perché?
Cosa sono disposti a fare per sopravvivere?
Ma poi, vale la pena sopravvivere?
La protagonista, Anna, è un personaggio stupendo, riuscitissimo, e tutto viene raccontato dal suo punto di vista, attraverso quel che pensa, quello che vede succedere, i piani che escogita e i ragionamenti glaciali che fa. Una donna forte, a tratti crudele, fredda, determinata. Quasi l’opposto della Lena del primo volume. Ma in generale, tutti i personaggi sono ben costruiti, così come le relazioni che nascono tra loro.
Un romanzo che si farebbe leggere tutto d’un fiato, 430 pagine claustrofobiche che tengono incatenati fino all’ultimo, ben scritte e mai prevedibili. Un thriller psicologico originale, cattivo e affascinte. Ma ormai si sa, Paola Barbato è una belva che ci sa fare con carta e inchiostro.
Recensione di Monica De Giudici
Recensione 2
Ho letto questo romanzo quasi successivamente a “Io so chi sei”, un thriller della stessa autrice che mi aveva molto colpito ed essendo venuto a conoscenza di un collegamento tra le due opere non ho resistito.
Zoo non è un thriller.
Zoo è una angosciante e faticosa lotta per la vita, è un romanzo sporco, cattivo, un romanzo che ti cattura in maniera assoluta.
Con “Io so chi sei” si sperimenta il thriller, le malvagie macchinazioni di una mente contorta ai danni della nostra protagonista, con Zoo invece vi è solo un capannone industriale e una serie di gabbie.
Persone rinchiuse chi da mesi chi da anni e Anna, la nuova arrivata, una donna bella e di successo che da un giorno all’altro si ritrova intrappolata in questo incubo.
È un romanzo horror, una narrazione che mi ha riportato alla mente pellicole come Hostel e Saw, è un libro che ti mette addosso una profonda angoscia, dal quale non riesci a staccarti nonostante le varie scene forti che lo costellano.
Una cosa che ho particolarmente apprezzato è il modo in cui Paola Barbato ci racconta la protagonista, non con capitoli dedicati al suo passato, ma attraverso il modo in cui la sua mente elabora la nuova realtà in cui si trova.
L’azione è tutta tra quelle gabbie, tutta concentrata sull’incubo dei protagonisti e a discapito di quanto si possa pensare la presenza di un solo scenario non annoia mai.
La Barbato gioca con queste gabbie, con questo capannone, è un inferno mutevole scritto ad arte.
Lo stile poi è assolutamente appropriato, fluido, ma assolutamente mai banale.
Leggete questo romanzo, sperimentate ciò che riesce a far provare e poi guardate un bel film dell’orrore.
Magari Hostel.
Recensione di Alfredo Crispo
Recensione 3
Ho finito di leggere questo thriller psicologico di Paola Barbato che mi ha lasciato veramente disturbata.
La storia è ambientata in pochi metri quadrati, quelli di un capannone al cui interno si trovano carrozzoni di un vecchio circo identificabili l’uno dall’altro da nomi di animali scritti in cirillico; ed all’interno delle gabbie, ci sono persone tenute rinchiuse e sottoposte a regole che le vittime scoprono giorno per giorno in un alternarsi di punizioni e premi, senza tregua, senza sapere chi li ha rinchiusi lì dentro e perché. La protagonista principale è Anna, l’ultima arrivata, che cerca di non farsi sopraffare dalla disperazione di quella prigionia e che instaura con i prigionieri delle altre gabbie rapporti distorti di amore ed odio, non rassegnandosi a subire passivamente tutte le sevizie, fisiche e psicologiche, a cui è sottoposta.
Una storia allucinante ed allucinata, che ho scoperto far parte di una trilogia: Zoo ne costituisce il secondo libro, preceduto da “Io so chi sei” e seguito da “Vengo a prenderti”; questo probabilmente spiega il senso di non concluso che ho provato leggendo, anche se non sono sicura di voler leggere gli altri due libri per la crudezza della storia che almeno a me è sembrata troppo claustrofobica e difficilmente sopportabile.
Sarà che non mi piacciono le gabbie, neppure per gli animali, figuriamoci per le persone! Che poi possa essere una metafora della società che ci ingabbia in ruoli predefiniti, ci sta ma il libro è veramente molto duro.
Recensione di Ale Fortebraccio
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