PREMIO BANCARELLA 1977: EUTANASIA DI UN AMORE Giorgio Saviane

PREMIO BANCARELLA 1977: EUTANASIA DI UN AMORE, di Giorgio Saviane (Rizzoli)

 

Uscito nel 1976, il romanzo ebbe un enorme successo subissato dal successivo film interpretato da Tony Musante, a quanto pare perfetto nei ruoli drammatico-sentimentali.

Col tempo, il libro è entrato nel dimenticatoio collettivo, colpevole la scarsa capacità critica del lettore medio e l’intersecarsi contemporaneo di problematiche collettive subissanti quelle private.

In ogni caso rimane un ottimo libro, un documento paradigmatico della sofferenza e delle dinamiche interpersonali profonde che intercorrono tra le persone, lontane apparentemente dai problemi contingenti, ripiegate sui sentimenti e sulla sensibilità propria che ferisce, ma caratterizza compiutamente e in modo totalizzante la vita quotidiana, il fluire ininterrotto degli eventi, di tutti gli eventi che paiono secondari rispetto alla priorità dell’amore, del connubio amoroso.

Questa è una storia d’amore, indubitabilmente.

Ma fuori dagli schemi, dai canoni classici.

Paolo, professore universitario di letteratura e Sena, anch’essa impegnata lavorativamente in università a Firenze, nonostante la differenza di età, stanno assieme da dieci anni.

Il loro rapporto non è convenzionale. Paolo professa idee politiche, diciamo “progressiste”, che gli fanno aborrire l’istituto tradizionale della famiglia, il matrimonio e qualsiasi forma di ufficialità legata al sentimento.

Sena, un giorno, inaspettatamente lo lascia e Paolo sembra soffrirne apertamente, tant’è che deperisce a livello organico contraendo una serie di malattie più o meno gravi.

Il rapporto tra i due, infine si riallaccia, ma c’è un grande insormontabile e ormai irrimediabile ostacolo che li farà allontanare.

Non anticipo oltre la trama sottolineando la profondità dell’opera, costellata di riflessioni, di pensieri, di approfondimenti delle tematiche esistenziali. Direi quasi un romanzo filosofico, non il solito feuilleton amoroso-mieloso.

Lo strazio e l’infelicità dei protagonisti sono autentici. Forse perché, appartenendo al ceto culturale superiore, riescono ad evidenziare ed esternare le loro problematiche considerate da angolature diverse, da costruzioni di pensiero originali, perspicaci e acute anche se dolorose.

Fa da corollario uno stuolo di amici comuni, alcuni interessati, altri meno; chi intelligente e chi no.

Ho letto alcune critiche che sostengono che tra i due amanti ci sia un rapporto edipico sulla base delle teorie freudiane.

Effettivamente, nell’opera le citazioni a Freud ci sono.

Preferirei, però, per un attimo, accantonare queste interpretazioni per focalizzare la storia di due persone che si amano, ma alla fine di respingono.

E una molla scatenante c’è. Anche grave.

Paolo è il tipico esempio di intellettuale anticonformista, iconoclasta e tetragono nelle sue convinzioni dogmatiche che assomigliano a precetti religiosi più che a un modo di concepire l’esistenza, di rapportarsi con il prossimo.

Questi soggetti, antropologicamente ben connotati, solitamente egoisti all’ennesima potenza e catafratti da corazze ideologiche dure come l’acciaio, spesso fanno pagare agli altri i propri puntigli e le proprie idiosincrasie; la propria connaturata asocialità misantropica.

Da qui emerge la mia antipatia per codesto personaggio.

Il finale è inusuale e in certo senso “aperto”.

Recensione di Maurizio Faravelli

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