MI LIMITAVO AD AMARE TE Rosella Postorino

MI LIMITAVO AD AMARE TE, di Rosella Postorino (Feltrinelli Gennaio 2023)

 

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Recensione 1

Mi limitavo ad amare te

Mi ero procurata questo libro della Postorino con qualche perplessità perché non avevo particolarmente amato Le assaggiatrici ed invece ho trovato un libro che mi ha molto emozionato per la storia che racconta, estremamente attuale in un periodo triste in cui le guerre, mai cessate in varie parti del mondo, sono così vicine a noi come lo è stata quella dei Balcani. E se a quelle lontane ci capita di pensarci ogni tanto, con raccapriccio e profondo dispiacere per quei popoli, di queste così vicine ne sentiamo parlare ogni giorno sulla tv, sui giornali, sui social e così, seppure ogni guerra sia una sconfitta per tutta l’umanità, queste tanto prossime ci coinvolgono di più emotivamente.

Siamo a Sarajevo, nella primavera del 1992, in una città assediata, sotto il tiro dei cecchini, e qui troviamo, rifugiati in un orfanotrofio, dei bambini la cui vita è stata sconvolta dalla guerra, orfani oppure lì lasciati da famiglie che non riuscivano a proteggerli. E così conosciamo Omar e suo fratello Senadin: Omar ha dieci anni e spera di avere notizie della madre di cui ha perso le tracce durante un bombardamento, il fratello cerca di consolarlo senza troppo successo perché il piccolo non sa darsi pace di non sapere se la madre è viva o morta. Conosciamo Nada, a cui manca un dito di una mano per una triste vicenda familiare e che affascina con i suoi occhi celesti Omar e non solo lui. Perché quando le autorità della città decidono di mandare i ragazzi in Italia, senza distinzione tra chi è orfano e chi no, Omar e Nada conosceranno Danilo che la famiglia ce l’ha ma ha deciso di mandarlo in un luogo sicuro. Ed in Italia questo spostamento che doveva essere temporaneo porta invece all’adozione di molti di loro, senza badare se sono orfani oppure se hanno ancora i genitori, così che molti non torneranno mai più in Bosnia.

Le storie dei quattro ragazzi si intersecano attraverso un periodo di tempo che va dal 1992 al 2011, un ventennio in cui li vedremo seguire il loro destino diventando adulti, con un racconto commovente che ci porta dentro la solitudine ed il rimpianto di persone sradicate dalla loro terra e dalla loro storia e che ci fa riflettere sul fatto che anche chi sopravvive ad una guerra ne rimane per sempre segnato.

Bellissimo il verso della poesia del poeta e filosofo bosniaco Izet Saraili, intitolata “Cerco la strada per il mio nome”, che Danilo recita a Nada e da cui è tratto il titolo del libro: “Cosa facevo io mentre durava la Storia? Mi limitavo ad amare te.”

Recensione di Ale Fortebraccio

 

Recensione 2

Una madre. Sempre. Ma lei lo sa che il suo è un atto di egoismo. I figli non avrebbero voluto questa vita. Se avessero potuto scegliere, sarebbero rimasti lì, nel nulla. Nada. Appunto. Il nome della protagonista.

Scrittura e maternità. Come unici atti possibili. Come non scelta. Come vie inequivocabili verso la morte. Disegnato con esergo e incipit, il nucleo sul quale si muovono i protagonisti di “Mi limitavo ad amare te” ci costringe ad una tremenda conclusione: nel momento in cui nasciamo siamo condannati a morire. Non importa quando. Come. Perché. È un dato di fatto. Moriremo. Forse ci sono dei segreti per accettare con più serenità il proprio destino. Come l’atto dello scrivere:

«Come è possibile uccidere, è anche possibile scrivere.» Slavenka Drakulić, Leggere Karahasan (in esergo)

Come l’atto del leggere:

«Ma dalla madre, chi ti salva?» L’isola di Arturo (sempre in esergo)

In questo caso, leggere Elsa Morante aiuta il lettore contemporaneo a non illudersi: con Rosella Pastorino la domanda prioritaria spiazza tutte le altre e non abbiamo scampo. Ma di quale minaccia si parla? È ovvio: la minaccia si chiama guerra. Oppure odio. Oppure stupidità. Sì, certo. Non c’è nessuna ragione etica dietro alle guerre. Solo sete di potere. Anche quando le guerre vengono denominate guerre di religione. Scusate, ma quale Dio incita alla guerra? Quale scrittura sacra porta in sé parole di non inclusione, di uccisione e di spargimento di sangue?

Porre questa domanda non risolve i conflitti di oggi né lo ha fatto in passato. Purtroppo, la triste realtà dei nostri tempi ci conferma che l’uomo non sa aspettare la sua morte naturale, continua a provocarla con il ricorso alle armi. Ecco che la maternità vacilla. In una guerra è più difficile essere madri. Ci si chiede perché far nascere i figli se la guerra se li riprenderà in maniera cruenta.

Nel romanzo di Rosella Pastorino, i tre bambini protagonisti cercheranno di riscrivere la loro vita dopo l’esperienza devastante della guerra. «Il bambino camminava appiccicata alla madre, tanto che lei si fermò e disse: “Perché mi stai addosso, non vedi che inciampiamo?”» (p 11) L’incipit in medias res evoca subito una situazione di angoscia: un bambino terrorizzato che si aggrappa alla madre totalmente impaurito dalla realtà che bruscamente li ha separarti. Guerra, orfanatrofio, visite sempre più rare. Fino all’episodio, ormai dimenticato dalla maggior parte degli italiani, che riguarda “I Bambini di Bjelave”.  Da Sarajevo sotto assedio ormai da tre mesi, il 18 luglio 1992 partì un convoglio di 67 bambini tra i quali 46 tra orfani e minori con situazioni disagiate che stavano all’orfanotrofio “Ljubica Ivezić” (che nel 1997 cambiò nome in “Dječiji dom Bjelave”).

Nel 2019 Rosella Postorino, come racconta in una intervista, tramite un’inchiesta di Osservatorio Balcani Caucaso Transeuropa viene a conoscenza di questo episodio. Il soggiorno in Italia di questi bambini doveva durare solo un breve periodo. Invece la guerra si prolungò per quattro anni e alcuni bambini persero completamente i contatti con i genitori. Dopo un primo periodo in strutture di accoglienza, i ragazzi vennero affidati a famiglie italiane, ci furono anche delle adozioni.

La storia che ci racconta Postorino nel romanzo “Mi limitavo ad amare te ” (Feltrinelli, 2023) va oltre la guerra, dal 1992 al 2011. La narrazione indaga il difficile processo dell’inclusione, che spesso comporta lacerazioni: troppo dolore nel ricordo del proprio Paese, e così si dimentica la propria lingua, il volto della propria madre diventa sempre più evanescente.

 

 

«Nell’ultima decade del Novecento ci siamo cullati nell’illusione che la Storia, intesa come catena ininterrotta di atrocità, violenze e prevaricazioni – «uno scandalo che dura da diecimila anni», diceva Elsa Morante – fosse finita. Eppure bastava guardare alla ex Jugoslavia, al di là dell’Adriatico, per avere la conferma del contrario: una guerra rimossa in tempo reale trent’anni fa, e dimenticata poi. […] Nel suo romanzo, Postorino pratica con grande sensibilità e forza narrativa una lezione letteraria sempre valida: i veri testimoni del tempo sono le sue vittime. […]» Ecco le parole di motivazione di Nicola Lagioia al Premio Strega 2023.

Il titolo del libro prende spunto da una poesia di Izet Sarajlić, (1930-2002, Sarajevo). Durante l’assedio, Izet Sarajlić decise di rimanere a Sarajevo. Il messaggio è chiaro: solo l’amore, gli affetti, anche quelli che incontriamo per caso, ci possano salvare. Il poeta bosniaco che in un’altra poesia osserva la sua libreria cadere sotto i bombardamenti e con grande gioia vede salvarsi la poesia, eccolo qui a cantare l’amore vivo, il bisogno di restringere il proprio mondo, specie se in guerra:

“Le strade grandi, rumorose/le lascio ai grandi della storia.

Cosa facevo io mentre durava la storia? Mi limitavo ad amare te”

“Mi limitavo ad amare te” è un libro che mi ha fatto piangere ma anche sperare che un mondo migliore sia possibile.

Lirico il finale: «“Tienila,” dice il bambino, “te la regalo.”» (355) è la scatola dove si raccolgono le lacrime. Dove poi evaporano. Come il tempo che passa, anche il dolore svanisce. Quel che conta è il dono. Quel sentirsi amati quanto basta.

Scrivere. Raccontare. Immergerci nei versi della poesia.

Recensione di IO LEGGO DI TUTTO, DAPPERTUTTO E SEMPRE. E TU? di Sylvia Zanotto  

 

Recensione 3

Come tanti della mia generazione ho passato l’infanzia sentendo parlare di Giovanni Falcone da una parte e di Sarajevo dall’altra, la guerra in Jugoslavia in particolare era argomento ricorrente dei telegiornali e ignoravo quanto vicino fosse a casa mia questo tremendo conflitto.

Se in tempi recenti la lettura di “Maschere per un massacro” aveva contribuito a rendermi chiari i terribili presupposti alla base di questa pagina nera della Storia questo romanzo, ispirato a delle storie vere, ha contribuito a restituirmi la vicenda “umana” in tutte le sue sfumature.

Protagonisti di questo libro sono dei bambini in fuga dalla loro terra, rifugiati in Italia e accolti in strutture e famiglie: capitolo dopo capitolo seguiamo la crescita di ognuno di loro, ciascuno col proprio bagaglio di rabbia e dolore, ciascuno con i propri sentimenti e un diverso attaccamento alle proprie radici territoriali e familiari. I piccoli protagonisti lungo il loro cammino crescono e formano una propria coscienza e rappresentano degnamente le varie tipologie di reazione di chiunque si sia vista negata l’infanzia per una guerra non voluta. E se i fatti storici, ben presenti, sono noti il lato umano li arricchisce di spessore e di profondità, regalandoci pagine certamente crude, violente, spesso dolorose, ma con tanti momenti di amore, speranza e desiderio di redenzione.

Una lettura davvero bella, un pugno nello stomaco e una carezza sul cuore e un grande messaggio di necessità di pace, un libro da leggere assolutamente!

Recensione di Enrico Spinelli

 

Recensione 4

“Per qualche tempo, nella cartellina dentro il mio computer, il file del romanzo che stavo scrivendo si è chiamato «Figli». Così, semplicemente”.

Sono figli della Bosnia, quelli che una mattina d’estate del 1992 vengono messi su un pullman, diretti verso l’Italia.

Alcuni sono orfani, altri una famiglia ce l’hanno, ma tutti vivono la condizione di essere strappati via dalla loro precedente esistenza.

Sono nati, quindi strappati per sempre dal corpo della madre e sono diventati figli, e lo saranno per sempre. Perché se è vero che non si sceglie di chi essere figli, è ancora più certo che figli non si smette mai di essere. Lo siamo tutti, e lo saremo per sempre.

Ciascuno di loro dovrà continuare a fare i conti con la guerra, negli anni a venire, anche in un nuovo paese in cui la guerra non c’è, perché la guerra è dentro ciascuno di loro.

Si separeranno, verranno ospitati, dati in affido, si cercheranno e si ritroveranno per poi perdersi nuovamente, nel corso dei successivi vent’anni.

Questo libro è una promessa di mani rassicuranti sul volto, già nella splendida immagine di copertina.

Una mano ferma e forte, che ti stringe e ti fa coraggio nei momenti di paura, durante un lunghissimo viaggio verso l’ignoto.

È il calore di una mano sulla pancia sotto le coperte.

È una mano che raccoglie succose ciliegie fra i rami e le lancia di sotto, fra le risate e la gioia, dove altre mani aperte faranno a gara per prenderle al volo.

È la vergogna di una mano che si chiude a pugno, per nascondere la menomazione di un dito mancante.

È la curiosità di una mano che esplora segrete intimità di un corpo vivo.

È un intreccio di mani sul petto di un corpo che di vita non ne ha più.

È la dolcezza dei pollici di un figlio, che attraverso un cancello di ferro sfiorano le nocche della madre che lo ha accolto.

È una mano che trascrive, fitto fitto, pensieri di morte, istantanee di guerra, allucinazioni, sui fogli di un taccuino.

È una mano aperta a coppa, che raccoglie le lacrime e le chiude in una scatola di formaggini vuota, con la certezza che presto evaporeranno, facendo così dissolvere il dolore.

Recensione di Valerio Scarcia

MI LIMITAVO AD AMARE TE Rosella Postorino

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