L’OMBRA DELLO SCORPIONE Stephen King

l'ombra dello scorpione S. King

L’OMBRA DELLO SCORPIONE, di Stephen King

 

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Recensione 1

Sono giunto alla fine di questo maestoso libro, leggere le ultime pagine non è come terminarlo, ma come trascinarsene fuori.

Un romanzo acquistato anni fa e mai iniziato, uno di quei libri che ho lasciato a prendere polvere forse per paura della sua mole, forse perché non era ancora il suo tempo.

Un viaggio attraverso due mondi, uno ridotto in cenere e un altro pronto a nascere.
Una lotta tra due forze, una guidata dalla fede cieca e l’altra, spavalda e oscura, dedita alla morte.
Un viaggio fatto con personaggi ben definiti, amici con cui camminare, persone con cui gioire e rattristarsi.
Uno dei migliori lavori di Stephen King, una storia che ti spinge a un’inaspettata empatia, un romanzo che ti lascia con un forte senso di vuoto, ma con la consapevolezza di essere giunti con loro, i protagonisti, al tanto agognato (e meritato) epilogo.

 

Un libro assolutamente perfetto, più di novecento pagine che scorrono senza che tu te ne renda conto.
Alla fine, quando vedrai di essere a una sola ventina di pagine dalla fine ti chiederai come sia possibile e la cosa ti lascerà una sottile tristezza.

Recensione di Alfredo Crispo 

 

Recensione 2

Ancor prima di inoltrarmi in qualsiasi tipo di giudizio in merito al romanzo devo necessariamente precisare di essere alla mia prima lettura di un’opera dello scrittore americano originario di Portland.

La curiosità di comprendere le cause-ultime della costante osannazione di cui è oggetto the King in tutto il pianeta (e in questo gruppo in particolare) era fervente.

The stand, questo è il titolo originale, mi è stato segnalato come uno dei suoi lavori di maggiore spessore, in cui la poetica dell’autore si sostanzia con lucida meticolosità; ecco il motivo per il quale il mio rito di iniziazione ha voluto coincidere con il suddetto romanzo.

L’approccio è stato dei più sereni e rilassati, la fama di re dell’horror precede King ancor prima del reale talento di cui è dotata la sua estrosa penna. Il pregiudizio tuttavia risiedeva nel timore di incappare in una lettura totalmente disimpegnata, esclusivamente volta all’intrattenimento delle masse e, per questo motivo, priva di spessore artistico e antropologico.

Ammetto con grande tracotanza, e persino un pizzico di vergogna, di aver iniziato a leggere King con il prevaricante desiderio di demolire un eroe del grande pubblico tanto amato e talvolta oltremodo adulato.

Ebbene, il romanzo è tutt’altro che leggero, scorrevole e banalmente avvincente; l’abilità con la quale è delineata la psicologia degli innumerevoli personaggi che prendono vita durante la costruzione dell’intreccio è di innegabile fascino narrativo.

 

Lo scrittore americano dimostra disarmante sapienza nell’allestire un’ambientazione post-apocalittica, in cui un gruppo di persone riunite da un’entità sovrannaturale vive una sorta di epopea “omerica” in chiave moderna in cui la distinzione fra Bene e Male è sempre più labile e vaporosa quand’anche completamente priva di linea di demarcazione.

Lo stile risulta eclettico fino all’esasperazione, in esso coesistono passi caratterizzati da un registro sporco, sudicio e torbido per descrivere l’Uomo che Cammina e tutti gli scagnozzi al suo cospetto, e scorci di grande letteratura che permettono alla penna dello scrittore americano di sprigionare delicatezza e poesia con la maestria dei più grandi.

Certo, l’incedere della vicenda è faticoso, a tratti legnoso e scoraggiante, il quale peraltro richiede una tenacia non indifferente (sono ben 930 pagine!). Di conseguenza urge la pazienza di sottostare a questo compromesso fatto di prolissità stucchevole e di autocelebrazione bella e buona-perché diciamoci la verità, King è consapevole, ancor di più rispetto a quanto lo siano i suoi fan più sfegatati, del proprio enorme talento e in virtù di questo (auto)riconoscimento si crogiola nella sua cultura, partorendo rigorosamente romanzi di 700 e passa pagine.

Ora, la mia personalissima e altrettanto opinabilissima opinione è che sia sempre molto complesso, nonché arma a doppio taglio, scrivere tomi della succitata lunghezza se non ci si chiama Tolstoj, Dostoevskij o altri mostri sacri della letteratura.

 

Ciononostante sarà ben lungi da me voler infangare in maniera becera l’amatissimo nome di Stephen King, personalità che NON va apostrofata come quella di “scribacchino di poco conto” esclusivamente dedito a romanzi di genere da mega incassi al botteghino, definizione che i suoi intransigenti detrattori desiderano appioppargli.

Sarei solamente curiosissimo di vederlo alle prese con tematiche ed interessi più “colti”(parlo sempre dal basso della mia pressoché nulla conoscenza dello scrittore). Splendido il finale per niente consolatorio sulla inesorabile ciclicità dell’esistenza umana. Voi cosa ne pensate? Vi è piaciuto?

Recensione di Tommaso Aprigliano

Tirolo presente anche nella Rassegna mensile dei libri più letti e commentati a Febbraio 2020

 

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