“La mia follia mi ha salvato” La follia e il matrimonio di Virginia Woolf, di Thomas Szasz (Edizioni Spirali)
Credo che Virginia Woolf sia una di quei personaggi che, per l’impronta lasciata dalla sua forza di pensiero, viene analizzata a più riprese da ogni punto di vista proprio per capire da dove questa forza derivi. Così ha fatto anche Thomas Szasz (1920- 2012) ungherese naturalizzato statunitense, che pur essendo psichiatra e psicanalista diviene un critico radicale delle due discipline sostenendo che la malattia mentale altro non è che un mito, una metafora. Nel libro si affrontano la follia e il suicidio della scrittrice dal punto di vista della psicanalisi e della psichiatria, ma anche dal punto di vista medico, giuridico, etico, critico-letterario, filosofico, dal punto di vista degli Women’s studies e soprattutto della scrittura letteraria.
Filo conduttore nei vari ambiti disciplinari è il cattivo uso della psichiatria imputabile ai malati in generale, e qui a lei in particolare, che proprio attraverso la malattia esercita la propria volontà di controllo sull’altro. Szasz in questo testo si pone l’obiettivo di riabilitare la scrittrice come “agente morale responsabile delle proprie scelte e dei propri comportamenti” e di cancellare il luogo comune di vittima della malattia mentale per cui è nota. Ricordiamoci sempre che la Hogarth Press, la casa editrice che fondò insieme al marito, fu la prima a tradurre, per mezzo dello psicanalista James Beaumont Strachey, e pubblicare l’opera omnia di Sigmund Freud, dunque possiamo supporre che Virginia fosse ben consapevole del meccanismo di azione della mente in determinati contesti.
Dal punto di vista dell’autore Virginia si è sposata senza amore, e non fu proprio questo matrimonio felice che l’ultima lettera lasciata a Leonard ci vuole far intendere; inoltre quello con Vita Savkville- West non fu un amore fisico, ma una potente relazione tra menti. L’edizione magnificamente tradotta e curata da Susan Petrilli ci permette di avere strumenti nuovi e inusuali per leggere l’intera opera di Virginia Woolf, strumenti che si discostano dal “genio e sregolatezza” in cui la vulgata fa ricadere anche la Woolf.
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