Intervista allo scrittore fiorentino Marco Vichi

In occasione dell’uscita di una nuova avventura di Franco Bordelli abbiamo intervistato Marco Vichi, che gentilmente ci ha parlato del suo personaggio ma anche del suo rapporto con i social, con la Firenze passata e presente e di tanto altro…

 

 

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– È da poco uscito il nuovo romanzo con protagonista Franco Bordelli, “Nulla di distrugge“. Possiamo dire che protagonista principale di quest’opera è il passato, quella dimensione che emergeva sempre nei racconti delle cene bordelliane ma che qui è in primo piano sia sul piano della memoria che delle situazioni che Bordelli si trova a vivere (penso ad esempio al suo caso irrisolto ma anche a situazioni dal sapore vintage come il delizioso siparietto con Rosa)?

 

Il passato, con i suoi fantasmi, è sempre stato assai presente nei romanzi del commissario Bordelli, e oltretutto sono ambientati nel passato, una sorta di girandola temporale che non smette mai di girare. Il “tavolino” di questo romanzo poggia su tre “zampe” narrative, e tutte e tre ci dicono che il passato non è mai archiviato del tutto, anzi è vivo e può sempre riemergere e intervenire sul presente, modificandolo… Insomma, “Nulla si distrugge”, appunto.

 

 

– Da “Morte a Firenze” (che considero quasi un romanzo storico) in poi ho notato una sempre maggiore distanza dallo schema del “giallo canonico”, con sempre più divagazioni dalla linea narrativa principale, come se il “caso da risolvere” sia più il pretesto per raccontare la dimensione esistenziale di Bordelli. Possiamo dire che più che gialli, le opere con questo personaggio siano più capitoli di un grande romanzo di formazione?

 

Hai ragione. L’elemento poliziesco (che comunque cerco di rispettare) è una sorta di grimaldello per entrare in altri sentieri narrativi. Chi mi conosce sa che non amo il “meccanismo giallo”. I miei padri sono altri, primi fra tutti i romanzieri russi dell’Ottocento e del primo Novecento. Da lettore amo i romanzi che mi accompagnano nei meandri dell’animo umano, che cioè indagano sull’uomo. Mi sono messo a “giocare” con il poliziesco a metà degli anni Novanta, dopo aver letto il grandissimo Friedrich Dürrenmatt, che ha usato il poliziesco per indagare appunto l’uomo. Comunque i romanzi del commissario Bordelli sono tutti un po’ “storici”, e magari anche un po’ “rosa”, e anche “neri”… insomma, non sono troppo gialli, forse sono degli strani arcobaleni.

 

Marco Vichi

 

 

– Sono ormai un appuntamento fisso e gradito le sue “jam session” con Leonardo Gori con cui vi prestate a vicenda i rispettivi personaggi, Franco Bordelli e Bruno Arcieri. Mi piacerebbe sapere come è nata questa collaborazione.

 

È nata per gioco, da una mia “provocazione”. Leonardo Gori mi disse che stava scrivendo un romanzo ambientato durante l’Alluvione di Firenze, e così gli dissi che se Arcieri veniva in città in quell’epoca, non poteva non incontrare il commissario Bordelli, che aveva già sentito per telefono nel ’57. Leonardo accettò il gioco, e dal quel momento in poi, l’intreccio tra i due personaggi nei nostri romanzi si è irrobustito, è diventato sempre più complesso. Ci divertiamo così, siamo due adolescenti.

 

 

– Rimanendo su Leonardo Gori, quest’anno è uscito anche “Vite rubate”, riedizione rivista di “Bloody Mary“, un’opera forte e crudele ma di grande impatto sullo sfruttamento e la schiavitù che avete scritto a quattro mani. Personalmente ritengo che le due versioni non si escludano a vicenda e che i diversi messaggi che portano, di denuncia sociale “Bloody Mary” e di speranza “Vite Rubate” siano entrambi necessari. Volevo sapere se condivide questa visione.

 

Abbiamo cambiato il finale di comune accordo, per lasciare una porta aperta sul futuro in fondo a quella storia drammatica e dolorosa. In un momento come questo, non ce la sentivamo di mantenere il vecchio finale senza speranza.

 

 

 

 

– Nei romanzi di Bordelli troviamo una Firenze d’altri tempi, in una dimensione umana e popolana più che turistica e in generale la città toscana è presente quasi come protagonista nelle sue opere. Quanto di quella Firenze crede sia sopravvissuta oggi e quanto si sia irrimediabilmente perso?

 

Il mondo è cambiato ovunque, non è possibile arrestare l’avanzare del tempo con le sue inevitabili trasformazioni. La Firenze di quando ero bambino non esiste più, ma tra cinquant’anni diranno la stessa cosa di oggi, e così via. Ovviamente, l’infanzia gioca la sua parte nello struggimento che si prova ricordando il passato.

 

 

– Grazie a lei ho scoperto una grande scrittrice come Alba de Céspedes e in generale ho visto che nei suoi romanzi c’è una grande presenza di figure femminili di spessore, “non politicamente corrette” eppure tratteggiate sempre con grande dignità e un rispetto mai retorico, penso a Rosa ma anche a Marina, protagonista femminile del bel romanzo “Ombre” dello scorso anno. Le chiedo questo: se la narrativa moderna ha la possibilità di allargare la conoscenza e ampliare la cultura, c’è qualche speranza che possa dare un suo contributo a superare certi luoghi comuni e una mentalità fin troppo retrograda sull’universo femminile?

 

Di solito che legge ha già una mente aperta, e trovare nuovi lettori è una missione importante (“Leggere può creare indipendenza”, come recitava una frase del gruppo GeMS). La strage di donne che si sta verificando nella nostra epoca ha una matrice culturale, dunque sono convinto che leggere può lentamente modificare questa aberrazione culturale, questa incapacità di certi maschi di “digerire” la libertà della donna, così come può aiutare a superare altri ostacoli culturali. Ma non cercando di insegnare come ci si deve comportare. È un risultato collaterale che si ottiene quando si “allena” il muscolo della coscienza vivendo molte vite attraverso i sentimenti dei personaggi romanzeschi, nei quali inevitabilmente ci specchiamo, vere esperienze sentimentali e mentali che fioriscono dentro di noi.

 

 

 

– Lei ha scritto tanti racconti che spaziano dalla dimensione “giallo” a quella “storica” e “umana”, da dove trae la sua ispirazione? Quale pensa sia il valore del racconto, da molti ritenuto il fratello minore del romanzo?

 

Da lettore ho sempre amato i racconti, e mi diverto anche a scriverli, di ogni lunghezza e di ogni sapore. Non considero il racconto il fratello minore del romanzo, altrimenti dovrei considerare Čechov un fratello minore degli altri grandi scrittori russi, e così ovviamente non è. La storia della letteratura è costellata di racconti che sono dei veri capolavori, pensiamo appunto a Čechov (Il monaco nero, La steppa, La signora con il cagnolino, la morte dell’impiegato… sono per dirne alcuni),  a “Bartleby” di Melville, a “Casa d’altri” di Silvio D’Arzo, alla raccolta “Sistema periodico” di Primo Levi… e potrei continuare per molto tempo. I racconti fanno parte della Letteratura, sono uno dei pilastri della Letteratura.

 

 

– Qual è il suo rapporto con i Social? Quanto crede possano aiutare a promuovere il proprio lavoro o a far emergere delle nuove realtà letterarie?

 

Sono anti social, social patico, social fobico… ma sono molto tecnologico (le due cose sono ben distinte). Ho avuto i primi computer disponibili, il primo internet a 28k, il primo Windows, le prime stampanti laser, ecc. So che i social sono molto utili per promuovere il proprio lavoro, ma sono allergico a quelle cose.

 

 

– Una curiosità personale infine: sappiamo che Andrea Camilleri apprezzava molto il commissario Bordelli, volevo chiederle se ha un ricordo personale del professore da condividere. La ringrazio molto per la sua disponibilità, per le sue risposte e per le opere che ci ha regalato e che ci regalerà in futuro.

 

Ho avuto il piacere di conoscere il grande Camilleri e di passare intere giornate insieme a lui. Una persona eccezionale, di grande umanità, di raffinata ironia e autoironia. Parafrasando un detto famoso… Morto Camilleri NON se ne fa un altro.

 

Di Enrico Spinelli

 

 

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