IL SENSO DI SMILLA PER LA NEVE, di Peter Høeg
Perché un libro senza dubbio notevole, da cui è stato anche tratto un bel film, mi è risultato così faticoso da leggere?
Forse, almeno in parte, per la traduzione dal danese, spesso poco fluida e non sempre chiarissima.
Ma soprattutto per la grande varietà di temi trattati: la veste del noir è solo di superficie, uno spunto per trattare argomenti naturalistici, sociologici, familiari; mistero, fantascienza, droghe e distese sconfinate di ghiaccio.
Tanta carne a cuocere, e forse il motivo per cui il film è riuscito bene; l’inevitabile semplificazione cinematografica ha sicuramente giovato alla narrazione, ma allo stesso tempo ha mortificato la portata del libro. In cui la glaciologa Smilla indaga sulla morte di Esajas, un bambino groenlandese caduto da un tetto; lui che temeva l’altezza e su quel tetto non ci sarebbe mai salito volontariamente.
L’indagine la mette sulle tracce di qualcosa di molto losco che la porta, dopo una rocambolesca navigazione tra i ghiacci (la parte migliore del libro), fino ad una zona deserta della calotta polare, a rischio della sua vita e alla riconquista della sua vera natura di Inuit.
“Scoprire il proprio compito. Forse è questo ciò che Esajas mi ha dato. Che ogni bambino può dare. La sensazione che ci sia uno scopo. In me, e lui, gira una ruota – un movimento grande e fragile, comunque necessario.”
Høeg ha saputo creare un personaggio femminile originale e credibile, le cui vicissitudini si seguono con partecipazione. Anche se poi ti alzi dal divano con l’impressione che tutto quel ghiaccio ti sia in parte rimasto dentro.
Recensione di Elena Gerla
IL SENSO DI SMILLA PER LA NEVE Peter Høeg
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