E POI SAREMO SALVI, di Alessandra Carati (aprile 2021)
Recensione 1
Aida ha sei anni, quando a causa del dilagare del conflitto con la Serbia è costretta a scappare dalla sua terra, la Bosnia, dove vive con la sua famiglia in un piccolo villaggio che l’ha vista nascere.
È il 1992 e dopo aver sotterrato nella terra intorno alla sua casa le tanto amate bambole di porcellana per paura che si rompano, Aida parte in un lungo viaggio in cui sua madre, incinta del fratello, porta con sé soltanto documenti e qualche foto, così come le aveva chiesto suo marito, che le aspetta alla frontiera.
La fuga è un quadro realistico di ciò che la guerra significa per chi è costretto a scappare: paura, rabbia, devastazione e incertezza.
Mentre partono alla ricerca dei pullman che fanno passare il confine a chi scappa dalla guerra, Fatima, la madre di Aida, le chiede di resistere perché “poi saremo salvi”.
E proprio quell’essere salvi si tramuterà in un’illusione e in un interrogativo che troveremo in tutto il romanzo :” è possibile essere davvero salvi per chi ha affrontato l’orrore della guerra e tutte le sue conseguenze?”.
Giunta a Milano, Aida inizierà la sua nuova vita, divisa tra i suoi genitori che vogliono a tutti i costi tornare nella loro terra e l’affetto di Emilia e Franco, una famiglia di volontari che si prenderà cura di loro, mentre sua madre dopo la notizia dei tanti parenti scomparsi o dispersi cade in una sofferenza che la rende apatica persino nei sentimenti. Dopo aver dato alla luce Ibro, il fratellino di Aida, Fatima inizierà a rinchiudersi in se stessa, a dimagrire, quasi a voler dimostrare che è lì solo con il corpo.
Aida cerca , malgrado la resistenza di suo padre, di integrarsi il più possibile per ricominciare a vivere:
“Babo si aspettava che andassi a scuola nel centro di Milano e mi comportassi come se fossimo al villaggio. Pensava volessi rifiutare le nostre origini, marcare una distanza tra me e loro. Io invece volevo solo sentirmi parte di qualcosa.”
Ad un certo punto, Aida si trasferisce da Emilia e da qui si creerà una frattura con i suoi genitori molto dolorosa seppure fatta non di urla o liti, ma di cose non dette, di sguardi, di sensazioni.
Questa frattura resterà per sempre, fino a che un filo sottile sembra ricongiungere gli affetti familiari : è Ibro, che con la sua fragilità non riuscirà ad accettare la sofferenza che provoca l’essere sradicati, che pur essendo nato in Italia, non si sentirà mai parte del mondo che lo circonda e si lascerà trascinare dal dolore in una malattia mentale.
Aida farà di tutto per aiutarlo e per aiutare i suoi genitori, con i quali ritroverà l’originaria affinità di sentimenti che lega una famiglia.
Il libro è scritto in prima persona , con un ritmo concitato e con un linguaggio diretto, a volte crudo come se la sofferenza non avesse tempo da perdere con lunghe descrizioni e retorici sentimentalismi.
I capitoli sono brevi, con frasi corte e dialoghi veloci che trasportano il lettore nella vita e nella sofferenza della protagonista.
Il romanzo d’esordio di Alessandra Carati porta a riflettere su ciò che è stato e che ha significato la guerra in Bosnia non molti anni fa, ma anche sulle conseguenze tragiche che ogni guerra porta nella vita di chi la subisce, che si traducono in un dolore permanente che fa da sfondo all’esistenza di queste persone.
Al tempo stesso, nel romanzo si apre una speranza : quella di chi come Aida, crede ancora nella forza della vita e fa di tutto per ricomporne i tasselli e continuare a vivere.
Recensione di Barbara Crocetti
Recensione 2
Romanzo straziante, doloroso e bellissimo. E’ la storia di una madre e una figlia, Aida, che fuggono dagli orrori della guerra per rifarsi una vita in Italia, dove lavora il padre.
Un libro da leggere tutto d’un fiato, avvincente, incalzante, scorrevolissimo che ci riporta indietro agli anni ’90, quando l’Europa ha finto di non vedere cosa stesse accadendo alle popolazioni della ex Jugoslavia ed in particolare al popolo bosniaco, vittima di un vero e proprio genocidio.
Di seguito un passaggio del libro che racconta in poche parole il dramma di questa gente:
“tu non capisci perché non sei mai stato in Bosnia”, dice il padre di Aida a un volontario italiano.
“A Sarajevo su dieci famiglie nove sono miste. come si fa a separarle? Cosa sono i figli di un serbo e di una bosniaca? (…)
Non si può dividere quello che è indivisibile” (p. 98).
“E poi saremo salvi” è anche un romanzo di formazione, assistiamo alla nuova vita di Aida, al suo integrarsi nella società, alle difficoltà nel rapporto con i genitori, alla nascita del fratello, agli amori. Partecipiamo con angoscia alla nostalgia per il paese di origine, per i nonni rimasti in patria, per coloro che sono rimasti.
Un libro che fa riflettere, che non si dimentica, che lascia il segno.
Recensione di Alessandra Neglia
Presente nei 12 candidati al Premio Strega 2022
E POI SAREMO SALVI Alessandra Carati
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