LA LINGUA SALVATA Elias Canetti 

Canetti

LA LINGUA SALVATA, di Elias Canetti (Adelphi)

 

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Ci sono tanti motivi per cui vale la pena leggere questo romanzo. È innanzitutto il racconto appassionante dei primi 16 anni (1905-1921) dell’autore, che sarà insignito del Premio Nobel per la Letteratura nel 1981: nella ricostruzione delle vicende della sua famiglia di ebrei spagnoli stabilitisi in Bulgaria, poi trasferiti a Manchester, quindi a Vienna e a Zurigo il lettore assiste al fascino che esercitano sin dai primi anni sul piccolo Elias la scrittura e poi la lettura, quasi che quei segni potessero introdurlo a un mondo magico. È la storia della sua prima formazione culturale determinata da un’ansia di conoscenza a lui connaturata ma anche stimolata dai genitori: il padre fa nascere in lui la passione per la letteratura e per le storie in generale e la madre, pur nella complessità del rapporto con il figlio, lo accompagna, con il suo esempio, con le sue aspettative, con le sue decisioni, all’acquisizione di un amore sempre più consapevole per la conoscenza.

È una riflessione sull’importanza della lingua come strumento di comprensione, di espressione e di appropriazione del mondo, ma anche come elemento identitario: lo spagnolo è per Elias lingua madre, il bulgaro la lingua delle ragazze che lo hanno accudito nei primi anni, poi apprende l’inglese, infine il tedesco che, lingua dell’amore tra i genitori nella prima infanzia, diventa poi la lingua d’uso e di studio del protagonista, quindi quella in cui scriverà le sue opere. Non basta sapersela cavare con le lingue (il nonno commerciante si vanta di saperne usare diciassette, ma quello per la mamma non è conoscerle), ma bisogna entrare consapevolmente nei loro fondamenti per poterle padroneggiare. È la storia di un ragazzo che cresce con una natura cosmopolita, mentre si sente l’eco sempre più vicina della Grande guerra e delle sue conseguenze e le prime avvisaglie di quell’antisemitismo che si diffonderà sempre più nei decenni successivi.

È la storia di un animo sensibile, come mostra l’episodio del taglialegna armeno che canta malinconicamente la sua sofferenza per il destino della sua gente e della sua famiglia a causa dei Turchi. È la storia di una mente lucida e scevra da condizionamenti, quando dà giudizi molto netti sulla madre, tanto amata e tanto stimata ma colta anche nelle sue debolezze (“Lei che aveva fatto della letteratura delle grandi lingue europee, che sapeva benissimo, il contenuto essenziale della propria esistenza, non avvertiva lo stridore fra questo senso di appassionata universalità e l’arrogante orgoglio di famiglia che continuava incessantemente ad alimentare”). È una riflessione sull’importanza di scuola e insegnanti per la formazione culturale e umana dei ragazzi (“La diversità degli insegnanti era sorprendente, è la prima forma di molteplicità di cui si prende coscienza nella vita.

Il fatto che essi ci stiano davanti così a lungo, esposti in tutte le loro reazioni, osservati ininterrottamente per ore e ore, oggetto dell’unico vero interesse della classe, impossibilitati a muoversi e dunque presenti in essa sempre per lo stesso tempo, esattamente delimitato; la loro superiorità di cui non si vuole prendere atto una volta per tutte e che rende acuto, critico e maligno lo sguardo di chi li osserva; la necessità di accostarsi a loro senza rendersi le cose troppo difficili, dato che non ci si è ancora votati al lavoro in maniera esclusiva; e poi il segreto in cui rimane avvolto il resto della loro vita, in tutto il tempo durante il quale non stanno recitando la loro parte davanti a noi; e ancora, il loro susseguirsi uno dopo l’altro, nello stesso luogo, nello stesso ruolo, con le stesse intenzioni, esposti con tanta evidenza al confronto – come tutto questo agisce e si manifesta, è un’altra specie di scuola, del tutto diversa da quella dell’apprendimento, una scuola che insegna la molteplicità della natura umana, e purché la si prenda sul serio anche solo in parte, è questa la prima vera scuola di conoscenza dell’uomo”).

È una dichiarazione d’amore per l’Uomo e un riconoscimento della sua grandezza, nonostante tutto (“Ho passato la parte migliore della mia esistenza a mettere a nudo le debolezze dell’uomo, quale ci appare nelle civiltà storiche. Ho analizzato il potere e l’ho scomposto nei suoi elementi con la stessa spietata lucidità con cui mia madre analizzava i processi della sua famiglia. Ben poco del male che si può dire dell’uomo e dell’umanità io non l’ho detto. E tuttavia l’orgoglio che provo per essa è ancora così grande che solo una cosa io odio veramente: il suo nemico, la morte”).

Insomma, un grande inizio per le mie le letture del 2022.

Recensione di Laura Vetralla

LA LINGUA SALVATA Elias Canetti

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