DA PARTE DI MADRE, di Federica De Paolis (Feltrinelli – marzo 2024)
Recensione 1
C’era bisogno dell’ennesimo libro su madri e figlie? Evidentemente sì, ce n’era, perché Da parte di madre tocca corde profonde e sfiora con la tastiera dell’animo l’indicibile. La scrittura è uno strumento, appunto, che ognuno suona e modula in modo diverso, seguendo una sua partitura. In ogni caso scritture private come queste possono proprio per l’ancestralità del tema trattato arrivare a profondità inaudite. In ognuno di noi c’è questo innamoramento antico per la madre. Alla radice, all’origine di tutto, c’è lei. Così ci muoviamo nel mondo, ci allontaniamo come è giusto che sia ma lei è lì, conficcata nei ricordi che, pur mutevoli, sono la nostra voce più autentica e la nostra prima casa. Se la ascoltiamo non saremo mai del tutto soli. Il romanzo racconta di una madre e di una figlia a partire dagli anni Ottanta, anche se poi una audace gestione dell’intreccio ci porterà indietro e avanti nel tempo. Che è poi il tempo dell’inconscio, di quanto è disposto ad aprirsi, a ricordare e a elaborare La sua non è un’infanzia semplice, è stata, infatti, segnata dall’abbandono da parte del padre, e l’evento contribuisce a rendere madre e figlia simbiotiche.
Il loro è un rapporto che si nutre di premura e di omissioni. La bambina, infatti, vede la madre soffrire, prima per l’abbandono del marito e poi di altri uomini che entrano nella sua vita abusando del suo calore e della sua sensualità. La madre della bambina è una donna bellissima, ma questo non si traduce per lei in sicurezza. La donna ha una inclinazione morbosa a vivere l’amore con struggimento e trasporto. Ogni uomo incontrato viene amato e mitizzato ma fa in tempo a imporre la sua ambivalenza affettiva, dell’esserci per poi sparire. Oggi questi fenomeni hanno una nomenclatura psicologica, e in letteratura hanno sempre appassionato gli scrittori perché l’amore declinato nella forma dell’assoluto ha sempre esercitato un’attrazione per le forze che riesce a mobilitare. La madre è una di quelle creature innamorate dell’amore, dipendente da quell’energia potente che il sentimento è in grado di sprigionare. Ma quella è anche la radice dell’amore tossico, quello che si nutre della dipendenza dalla fiamma che ci ha incendiato all’inizio. È a quella perfezione originaria che aneliamo tornare, convinti che basterà tenersi avvinti a quell’idea per farla magicamente ritornare.
Infatti la scena iniziale è un focus su questa donna e il suo quartier generale. Tavolino, telefono e sigaretta. Lì lei aspetta l’epifania del suo uomo che, come tutte le divinità, ha il potere di entrare e uscire senza una logica. Ed è questo il vulnus della madre a cui la bambina cerca di porre rimedio trasformandosi lei stessa in madre. Questo ruolo di premura primordiale spesso si ribalta perché anche la madre penetra nella sofferenza della figlia. Questa è una storia d’amore feroce ed esclusivo e di altri amori che germinano attorno. Questa è la storia di una crescita faticosa e bellissima come quella di una crisalide
Recensione di Marianna Guida
Recensione 2
Recensione di Enrico Spinelli
Recensione 3
Se c’è una tematica che sempre mi affascina e incuriosisce è quella dei legami famigliari, così quando ho visto questo libro ho subito avvertito l’urgenza di immergermi tra le sue pagine.
Il nuovo libro di Federica De Paolis è un bellissimo memoir sulla figura di sua madre, donna istrionica e naïve, bellissima e fragile, modello da imitare e rifuggire.
Il romanzo parla del loro complesso rapporto, un rapporto in cui talvolta si sono scambiate i ruoli. Ma parla anche di amore e rabbia, fragilità e ricerca di identità, libri e scrittura come “luogo di salvezza”, psicanalisi e introspezione, ribellione e perdono, verità e omissioni (“La verità, infondo, non esiste”).
A far da sfondo, una Roma borghese nel periodo storico che va dal 1976 al 2001. Durante questi anni le due donne cambieranno spesso abitazione ed ogni capitolo prende nome proprio dall’indirizzo del momento. Eppure c’è solo una casa in cui Federica si sente al sicuro, la prima che ha abitato: sua madre (“Il mio mondo era mia madre, mi sentivo al mio posto accanto a lei”).
A distanza di 20 anni l’autrice decide di onorarne il ricordo ricostruendo un pezzo della loro vita. Ma “cosa resta nella memoria?” Quanto ci può essere di oggettivo nei ricordi dopo tutto questo tempo? L’autrice confessa di aver adoperato il punto di vista ereditato “da parte di madre”, fatto di omissioni, per proteggere e proteggersi.
Ma se è vero che il tempo offusca e modifica i nostri ricordi (o come direbbe Marquez “la memoria del cuore elimina i brutti ricordi e magnifica quelli belli”) questo non vale per l’amore filiale: quello resta inalterato, inalterabile.
Sul finale ho versato qualche lacrimuccia e probabilmente lo farete anche voi.
Coinvolgente, intenso, consigliato!
Recensione di Maria Antonucci
Intervista a Federica De Paolis
Presente nei 3 finalisti al Premio Viareggio 2024
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