VIVIAMO ANCORA, di Archibald Joseph Cronin
Di Cronin mi erano già noti diversi suoi romanzi come La Cittadella, E le stelle stanno a guardare, Anni Verdi, ma non certo VIVIAMO ANCORA, un romanzo scritto nel 1953 e quasi subito tradotto e pubblicato anche in Italia. Infatti, la mia copia è un’originale prima edizione Bompiani pubblicata nel 1954, trovata sulla bancarella dell’usato a solo 1 € con le pagine in discreto stato, se si eccettua la fascia laterale, che ho poi incollato io stessa.
L’eccellente traduzione si deve a Bruno Oddera, le pagine totali sono 452 e il prezzo dell’epoca £ 1.500.
La vicenda narra di Paul, un giovane brillante dalla promettente carriera, il quale per accettare un lavoro come insegnante, deve consegnare il suo certificato di nascita. Non sospettando nulla, si rivolge in buona fede a sua madre, che inscena un melodramma, pur di non consegnargli il famoso documento. Il motivo verrà presto fuori: Paul non è orfano di padre, come gli ha sempre lasciato credere sua madre, né si chiama Burgess, bensì Mathry, Paul Mathry. Suo padre è vivo, ma è rinchiuso, da 15 anni, a Stoneheath, un durissimo carcere dove sono imprigionati i condannati all’ergastolo, come suo padre, che è accusato dell’omicidio di una giovane donna.
Saputo che Mathry è stato incarcerato senza prove concrete, Paul parte alla ricerca della verità e s’imbatterà in un mare di indifferenza e crudeltà in mezzo a cui gli tenderà una mano solo un’altra povera anima, derelitta come lui.
Tra una ricerca e l’altra il lettore assiste a vari colpi di scena abilmente descritti da Cronin, competente e affermata penna largamente conosciuta anche grazie alle trasposizioni cinematografiche di altre opere.
VIVIAMO ANCORA lo definirei un romanzo minore, che non contiene l’enfasi e la vena struggente presenti, ad esempio, in Anni Verdi: nonostante l’ottima ricostruzione e ambientazione, le descrizioni sono lineari ma rigorose e presentano, nettamente delineati, in modo molto simile a un romanzo di impianto ottocentesco, chi sono i buoni e chi i cattivi.
La parte forse più riuscita dell’opera, mi è parsa però la vicenda legale, nelle cui acque, si comprende chiaramente, Cronin naviga pienamente a suo agio; mentre ciò che mi ha più colpita, a causa appunto dell’impostazione ottocentesca, è stata la repentinità, in alcuni punti, del passare da una situazione di estremo progresso, quasi si fosse ai giorni nostri, ad un’altra davvero antiquata, nonostante l’ambientazione sia già in un Novecento inoltrato, cioè nel 1936.
La scrittura di Cronin, infine, è sempre scorrevole, chiara, limpida e discreta, oltre che piacevole da seguire, mentre la trama si infittisce, man mano, come un vero legal thriller e tiene avvinghiati, senza lasciar molto supporre se non solo verso la fine.
Non è uno dei migliori e più noti romanzi di Cronin, ma, a mio parere, merita di essere letto.
Recensione di Lena Merlina
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