TALMENTE MODERNO DA RABBRIVIDIRE: FRANKENSTEIN, di Mary Shelley
Tempo addietro lessi un articolo che mi colpi notevolmente.
Si trattava di una notizia sbalorditiva.
In sintesi un ingegnere di Google sosteneva che il modello linguistico sviluppato dall’azienda aveva preso coscienza tant’è che rispondeva alle domande degli scienziati con enfasi e con “sentimento”, ossia andando oltre a ciò per cui era stato programmato e addirittura chiedeva di non essere disadattato perché non voleva morire. Nel comunicare la notizia l’ingegnere risultava sconvolto.
Certo rendersi conto di aver dato vita cosciente a qualcosa di inanime deve essere stato scioccante, un mix di eccitazione e orrore; accorgerti del tuo potere e averne paura, diventi responsabile e metti in dubbio tante cose sino ad allora legate soltanto da un labile filo di speranza.
Poi la notizia fu smentita e annoverata tra le tante bufale giornalistiche.
Sta di fatto che ciò comunque mi procurò una certa inquietudine.
Mi si smantellò completamente la credenza dell’esistenza dell’anima dopo la morte. Addio paradiso, purgatorio e inferno. Addio reincarnazione, addio risurrezione. Polvere sei e polvere tornerai. L’oblio, punto. Terribile.
Mi sono chiesta: e se noi, esseri viventi, fossimo il frutto di esperimenti di menti superiori? E che questi ultimi sconvolti dalla loro stessa invenzione hanno abbandonato al loro destino -una sorta di libero arbitrio- le loro creature mostruose e acerbe ma coscienti in questo pianeta che ne ha permesso la moltiplicazione e una continua evoluzione, creature a tempo capaci di creare, a sua volta, intelligenze artificiali che potrebbero diventare autonome?
Mostri rifiutati dai loro creatori che vagano tra il bene e il male, tra il perplesso e il determinato, tra il tutto e il nulla, che si arroventano di perché esistenziali, assetati di scoprire, di creare, di sperimentare, di innovare, di conoscere, oscillando tra l’etica morale e il superare l’insuperabile. Inarrestabili. Dai. Siamo incazzati, giustamente incazzati.
Ci troviamo al mondo senza un perché e senza un perché ci deterioriamo, ci infettiamo, moriamo. Rifiuti biodegradabili.
Cose di pazzi, vedi che pensieri! Che Incubi, direi.
Tuttavia la Shelley, appena diciannovenne, più di un secolo fa, del suo incubo ne ha fatto un romanzo.
Alla luce di quanto sopra sebbene l’articolo menzionato si fondi su una notizia fake il “Frankenstein” è talmente moderno da rabbrividire, altro che dark fantasy.
Scritto in forma epistolare e con stile ampolloso di sentimenti ed emozioni tipici dei scritti del periodo, “Frankenstein” è un romanzo di forte impatto psicologico che a tratti mi ha riportato a certe analogie con “Lo strano caso del dottor Jekill e mister Hyde“. Creatore e creato, buono e cattivo, bene e male, bello e brutto etc. Due facce della stessa medaglia:
gli irrisolti, eterni, imperituri conflitti.
In più si aggiunga il pregiudizio delle apparenze e del diverso, tema quanto mai attuale.
“Frankenstein” è un libro dall’atmosfera gotica, dalla scrittura evocativa senza notevoli colpi di scena.
L’unico colpo di scena è proprio la storia in sé: l’uomo che diventa Il Creatore, Dio. E su questo si sono adattate tante trasposizioni cinematografiche di film horror, sebbene il romanzo sia una lunga confessione privo di macabre scene descrittive.
Infatti, Frankenstein è soprattutto un libro la cui lettura permette notevoli riflessioni interiori poiché indaga a ripetizione sulla contorta e immatura psiche umana.
Non c’è altro da dire: è un classico. E i classici, finché non si arriverà a scoperte clamorose sulla vita e sulla morte, avranno il marchio di ‘eternamente attuali’
Recensione di Patrizia Zara
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