RAGAZZO ITALIANO, di Gian Arturo Ferrari
“Andavano sgangheratamente nella notte il bambino e la nonna, sembravano due ubriachi. La nonna che oscillava di qua e di là a ogni passo per il peso della valigia, il bambino tenuto per mano che si spenzolava dall’altra parte”
Inizia così Ragazzo Italiano di Gian Arturo Ferrari, finalista al Premio Strega di quest’anno.
Un libro pacato, una storia semplice, ordinaria, una scrittura nostalgica, malinconica a volte amara.
Chi è il Ragazzo Italiano?
E’ Ninni un ragazzino della provincia emiliana, è la storia della sua infanzia e prima adolescenza, è la storia della sua famiglia, è la storia di migliaia di famiglie del secondo dopoguerra, del successivo boom economico, delle prime forme di progresso, dei grandi cambiamenti della nostra Bella Italia.
L’ho letto in pochi giorni, è stato come fare un tuffo nel passato quando la mia mamma mi raccontava la sua giovinezza, la sua come quella di Ninni.
E’ il libro degli opposti e dei contrari…
…un papà assente, sempre in lotta con sé stesso e con gli altri, ombroso, scontroso, di poche parole, di nessun gesto d’affetto, metodico nella vita e nel lavoro.
“Gli piaceva mettere in ordine il mondo e amava la meccanica perché era quel mondo che si lasciava ordinare da lui”
…una mamma che vuole assomigliare a Vivien Leigh, che ama andare al cinema, leggere “Annabella”, che lo porta a mille controlli medici e va a parlare con gli insegnanti ma che non “si capacitava di come mai in fondo in fondo non fosse il bravo bambino, sereno e allegro, che lei faceva di tutto perché diventasse”
…la vita in paese, da settembre a maggio, periodo di scuola e di lavoro, con le persone che fanno fatica a salutare chi arriva dalla campagna, con l’intolleranza e l’indifferenza dettata dall’ignoranza e dalla paura.
“Che cosa siete venuti a fare qui? Perché siete venuti proprio qui a portarci via la nostra roba? Perché non siete rimasti a casa vostra?”
…la vita di campagna con i contadini che profumano di fieno, con i colori de campi coltivati, con la spensieratezza dei giochi all’aria aperta, con i Natali in famiglia e il rituale della pasta fatta in casa.
“I contadini voleva assolutamente vederli. Avevano portato nella cucinona un buon odore di fieno, con una specie di eco di stalla, ma l’insieme risultava forte e gradevole”.
Due stagioni, due case, due luci, due voci, due mondi, due vite.
E poi arriva un po’ di benessere, il papà fa carriera e si può compiere il grande salto: Milano!
La grande città, le mille possibilità.
Ma anche qui c’è dualità:
l’assembramento di baracche nelle periferie e a mezz’ora di tram, case dove la gente mangia con posate d’argento.
…e pian piano Ninni cresce: bambino, ragazzino, ragazzo.
Sceglie e decide la sua strada, indipendentemente dalle idee di mamma e papà; in questo mi ha ricordato molto Stoner e la sua determinazione nel decidere del proprio futuro.
“Troncati i legami con il mondo, eliminati obblighi e doveri, uniformato l’uniformabile, Ninni, con suo intimo stupore, scoprì che rimaneva ed esisteva altro. Esisteva lui. Che non si riduceva a quella fittissima rete che lo connetteva al mondo, ma era qualcosa di diverso.”
Non ci sono colpi di scena, non c’è suspance in questo libro, è come leggere un diario di ricordi, come sfogliare una vecchia rivista, come vedere un documentario in bianco e nero alla TV.
“Prima la Seicento e poi la Cinquecento, ferro di lancia e forza d’urto dell’immensa armata corazzata che aveva invaso la città. Le macchine! Decine, centinaia, migliaia, decine di migliaia, centinaia di migliaia. La macchina era la modernità. E soprattutto era finalmente raggiungibile.”
Buona lettura!
Recensione di Cristina Costa
Titolo presente nei 6 finalisti del Premio Strega 2020
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