QUELLO CHE AFFIDIAMO AL VENTO Laura Imai Messina

QUELLO CHE AFFIDIAMO AL VENTO, di Laura Imai Messina (Piemme – novembre 2021)

 

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Ho letto un libro bellissimo

Quello che affidiamo al vento di Laura Imai Messina. (Piemme)

Bell Gardia, ai piedi della Montagna della Balena, nel Giappone nord-occidentale, è un bellissimo giardino in cui c’è una cabina telefonica con una sedia, un ripiano con un diario e un telefono senza fili. Vi ci vanno le persone che desiderano dire qualcosa a chi ormai non c’è più. Il guardiano si chiama Suzki.

Ci va anche Yui che ha 31 anni, vive a Tokyo e lavora presso una radio locale, ma non entra nella cabina, non usa il telefono eppure percorre centinaia di chilometri almeno una volta al mese per raggiungere quella collina sul mare, quel mare che le ha rubato la figlia di tre anni e la madre in pochi istanti l’11 marzo 2011 con uno tsunami che ha affogato, villaggi, strade e speranze, quel mare che le provoca conati di vomito ogni volta che lo vede.

Takeshi, medico chirurgo di 35 anni, invece, ha perso la giovane moglie per una malattia ed ora ha solo la madre e la figlioletta, che non parla dal giorno della morte della mamma. Anche lui va al telefono del vento per parlare con la moglie.

Dopo un lutto o la mancanza nella vita di un’altra persona (perché lontana o perché con lei non c’è più comunicazione), esiste, nel ricordo e nell’immaginazione di chi resta, la possibilità concreta di comunicare con chi non c’è più, di donare la parola o un pensiero piuttosto che riceverli. Non sempre le risposte alle nostre domande sono necessarie, creiamo noi la risposta perché chi abbiamo amato lo abbiamo dentro di noi “a memoria” e la voce, il non verbale, il profumo, restano nel nostro ricordo e risuonano dentro di noi. A chi va al telefono del vento, ma non riceve parole in cambio, poi capita che di notte in sogno, la persona amata e ormai scomparsa appaia per rispondere alla telefonata.

È un esercizio di immaginazione, di presenza nell’assenza: le persone in quell’angolo sperduto del Giappone si salvano la vita perché tutti dentro di noi abbiamo il seme della morte e accettare serenamente che questo seme dia origine alla pianta della fine, che cresce accanto alla pianta della vita, è importante perché ogni nostra singola azione può cambiare la storia del mondo.

Circa 30.000 persone all’anno vanno a Bel Gardia che è un ponte tra il mondo dei vivi e dei morti, arrivare qui sottende un esercizio di mindfulness; persone da tutto il mondo intraprendono questo pellegrinaggio spirituale, qui si fa cerchio, comunità, perché la tragedia è una cosa che accomuna.

È importante dare valore a ciò che percepiamo con i sensi, ma anche a quello che non ha né forma, né voce, ma non è per questo meno vero, meno importante e meno potente. Il pensiero qui diventa parole, perché certe cose si capiscono meglio se si dicono a voce alta. Nel linguaggio, nella parola avviene il salto in cui si mette ordine ai sentimenti, in cui si prende consapevolezza di ciò che si prova e un po’ alla volta si matura anche la forza di lasciar andare.

“Anche il problema più grande lo puoi tagliare in piccole parti e guardarlo dentro una cornice”

“Era un posto dove curare il dolore e rimarginarsi la vita.”

“Moriamo perché siamo vissuti. Moriamo tutti di vita.”

Ringrazio davvero di cuore Marco che mi ha regalato il libro e la possibilità di “andare” fino in Giappone al telefono del vento.

Recensione di Chiara Savorgnan

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