QUEL CHE AFFIDIAMO AL VENTO, di Laura Imai Messina
C’è un posto in Giappone dove la voce di chi è ancora su questa terra raggiunge chi è invece nell’aldilà, i propri cari scomparsi.
È una cabina telefonica collocata in un giardino privato chiamato Bell Gardia, su una collina vicino alla città costiera di Otsuchi, nel nord est del Giappone.
“Quel che affidiamo al vento” è la storia di questo posto, la storia di tante umanità che si recano lì per alzare quella cornetta e parlare a chi non c’è più, tra cui due anime che, partendo da un dolore diverso ma condiviso, scoprono quel posto, lo vivono e ritrovano la forza di amare, contro ogni più potente paura.
Ed è così che Yui e Takeshi si conoscono e si avvicinano grazie e attraverso quel posto, ognuno con la propria perdita, e costruiscono un nuovo rituale prima, la visita mensile a quella cabina, e una nuova quotidianità poi.
Una quotidianità che fatica a ingranare, che trova resistenze auto inflitte perché non è sempre facile abbandonare il dolore e concedersi a una rinnovata felicità.
Una nuova vita che poi trova la forza di affermarsi nella gioia reciproca dell’esserci, al di là di malanni e accidenti prontamente sventati, ché le tragedie più grandi si sono già consumate e serve che a volte la fortuna funzioni senza interferenze.
Un romanzo molto bello e delicato, dedicato alle vittime dello tsunami dell’11 marzo 2011. Un romanzo che commuove per ciò che ciascuno può ritrovare della propria storia, per il senso di speranza e il garbo con cui viene trattato il tema del lutto e della sua accettazione.
Recensione di Simona Olivieri
QUEL CHE AFFIDIAMO AL VENTO Laura Imai Messina
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