PRINCIPIANTI, di Raymond Carver (Einaudi)
“C’era dell’altro, lo sapeva, ma non riusciva a metterlo in parole”
Questo libro raccoglie i 17 racconti di “Di cosa parliamo quando parliamo d’amore” (WWTA -What We Talk About When We Talk About love) finalmente nella loro versione originale. Infatti, quando nel 1980 uscì WWTA, i racconti furono pubblicati a seguito di un pesante editing ad opera dell’editor di Carver, Gordon Lish. Alcuni di questi racconti erano stati tagliati fin quasi dell’80%, probabilmente in nome del Minimalismo letterario da lanciare sul mercato editoriale. Senza voler entrare nel merito della discussione tecnica editing si- editing no- editing si ma fino a un certo punto, posso dire che a casa ho entrambi i libri e che “Di cosa parliamo quando parliamo d’amore” mi è sembrato subito mutilato, prima ancora di sapere della manovra di taglio che i racconti avevano subito. Indagando, ho trovato il bandolo della matassa e ho recuperato, appunto, le versioni originali di “Principianti”. Per me, è stata tutta un’altra lettura.
Carver è magnetico quando scrive, l’avevo già sperimentato con i racconti della raccolta “Cattedrale”: non è possibile mettere giù il libro senza un po’ di nostalgia e rimpianto. C’è (o meglio- io ho avvertito) il bisogno di continuare a farsi raccontare storie, un bisogno impellente di ascoltare la vita raccontata proprio da lui, Carver, con le sue parole, le sue mezze parole, le sue espressioni, i suoi non detti, le sue sfumature, le sue pause. Mi immagino seduta a un bar con un caffè davanti (o meglio- un whiskey) e Carver che racconta racconta racconta, con la voce bassa, la sigaretta in bocca, gli occhi fissi su di me a spiare le mie reazioni.
E le mie reazioni sono sempre indecifrabili, quasi contraddittore (del resto, dobbiamo viverci con la contraddizione): sento di aver colto una cosa, ma anche un’altra, ma non ho le parole per esprimere cosa. Esattamente come Carver ci racconta la vita per immagini, descrivendo scene a prima vista insignificanti, senza usare forse le parole “giuste”, ma creando un’atmosfera che quella cosa che deve dire la dice eccome, e con una precisione non altrimenti raggiungibile. Una precisione che raccogliamo solo nella nostra intuizione.
In questa raccolta Carver ci parla di amore, cos’è cosa non è, quando inizia a non esserci più, come cambia. Nel farlo, ci mette davanti al vecchio e al nuovo, alla solitudine, all’abbandono, alla disperazione, al senso di vuoto, di vertigine e di caduta, alla speranza e alla disillusione, alla sensazione di schifo, alla perdita del senso, all’inutilità delle cose inessenziali, alla frustrazione dell’incomunicabilità, all’indifferenza, all’egosimo. Ma anche al bellezza e alla necessità di ballare quando è possibile.
E ci dice che alla fin fine in amore siamo tutti principianti.
“[] Però ci dovrebbe far vergognare quando parliamo d’amore come se sapessimo di cosa parliamo quando parliamo d’amore””
Buona lettura.
Recensione di Benedetta Iussig
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