PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA 2003: John Maxwell Coetzee

PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA 2003: John Maxwell Coetzee – “che in innumerevoli maschere ritrae il sorprendente coinvolgimento dello straniero”

IL MAESTRO DI PIETROBURGO, di John Maxwell Coetzee

“Sa cosa vuol dire il lutto. Questo non è lutto. Questa è la morte, la morte venuta prima del tempo, venuta per stare con lui, non per sopraffarlo o divorarlo, solo per stare con lui. È come un cane che abbia scelto di abitare con lui, un grosso cane grigio, sordo e cieco, stupido e immobile. Quando dorme, il cane dorme; quando si sveglia, il cane si sveglia; quando esce, il cane lo segue sbandando”

Coetzee scrive un romanzo su Dostoevskij che sembra scritto da Dostoevskij. Il grande scrittore russo è il Maestro del titolo, descritto in una dimensione intima e umanissima, nel momento in cui torna dall’esilio di Dresda a Pietroburgo per il funerale del figliastro Pavel, morto in circostanze sospette: è semplicemente caduto dalla torre? Si è buttato? Oppure è stato spinto? Fedor Michailovic è tornato sotto falso nome per sfuggire ai creditori ma in realtà tutti conoscono la sua vera identità. Mentre fa i conti con il dolore profondo della perdita e della morte, deve fare i conti anche con se stesso e con le proprie convinzioni, con i turbamenti e le passioni, a volte anche inconfessabili, che guidano le sue scelte anche ora che è “vecchio”. E questo dell’età è un tema centrale nel romanzo: l’età segna la distanza tra lui e il figlio morto, tra lui e la giovane moglie rimasta a Dresda, tra lui e piccola Matrena, tra lui e i rivoluzionari amici di Pavel da cui cerca di sapere qualcosa di più sul quel figlio amato che ora scopre essere uno sconosciuto, che forse non lo amava, che forse addirittura lo disprezzava. Come ogni resa dei conti, anche la sua avviene nella solitudine, interrotta solo dalla presenza accogliente di Anna Sergeevna.

Nell’inchiesta che il maestro conduce nella vita pietroburghese del figlio, a fargli da guida c’è Nicaev, rivoluzionario e nichilista, che ha manipolato Pavel fino a determinarne forse la morte e che ora – in un perverso gioco di specchi – riesce a manipolare anche lui, conducendolo a forza nel proprio mondo, trascinandolo nelle proprie ossessioni e nell’abisso della miseria umana. Dal quale egli cercherà di uscire nell’unico modo che conosce: scrivendo. E dando a Pavel una nuova possibilità di vita attraverso quella che lui crea per Stavrogin, il giovane e tormentato personaggio de “I demoni”.

Coetzee così reinventa la genesi dei demoni di Dostoevskij e dà allo stesso tempo voce e corpo ai propri: se il figlio dello scrittore russo, infatti, sopravvisse al padre, il figlio di quello sudafricano morì per una caduta dall’alto

Recensione di Alessandra Nieddu

ASPETTANDO I BARBARI, di J.M.Coetzee

Scelgo il libro tra i tanti della mia libreria, inizio la lettura e dopo appena 16 pagine non mi va più di andare avanti. Resta sulla sedia per 7 giorni, penso che non valga la pena riprenderlo, anzi medito di sceglierne un altro; se non mi ha coinvolto subito è inutile perder tempo. Ma sono testarda, lo riapro dopo una settimana non per continuarlo, ma per ricominciarlo da capo e scopro il libro sotto una luce nuova.

Intanto il titolo: Aspettando i barbari. Nel libro i barbari sono identificati con le persone che vivono oltre la frontiera. Il verbo ” aspettando” è emblematico: un gerundio per una attesa duratura, che non sarà rispettata; il colonnello Joll, i barbari li va proprio a prendere con una spedizione, per evitare una probabile invasione. A governare il libro é la paura degli altri, di quelli diversi da noi. I prigionieri vengono torturati e maltrattati senza un vero motivo. Si cercano i nemici anche quando non ci sono, per affermare una supremazia: è il vero senso della storia.

Protagonista principale è un magistrato che si è occupato per tutta la vita dell’amministrazione giudiziaria del piccolo Impero, l’unico che capisce che non ci sarà nessuna invasione, l’unico che capisce che i prigionieri non hanno nessuna intenzione violenta, perché sono stati prelevati a forza dai loro territori. Tra questi barbari, una giovane prigioniera riceverà le cure e le attenzioni del magistrato che vorrebbe riportarla dai suoi. Al ritorno dalla spedizione, il magistrato viene accusato di non essere rimasto al suo posto, in un momento di estremo pericolo per l’impero, perciò viene arrestato e torturato. Vorrebbe un regolare processo, ma lo scopo è indebolirlo e fargli perdere la ragione. Non capirà mai se i barbari fossero realmente pericolosi come gli stanno facendo credere.

Il libro è scritto in prima persona, a parlare è il magistrato che durante il racconto espone i suoi dubbi, le sue perplessità, il suo sincero amore per la prigioniera, le sue paure di uomo, che non smette mai di credere nella giustizia continuando a chiedere un processo per spiegare le sue motivazioni.
La storia, l’impero, i personaggi sono tutti immaginari ma leggendo fino alla fine, mi pare di scorgere qua e là diverse somiglianze con situazioni reali. È un libro che ho trovato impegnativo, ma la finta storia ha qualcosa di reale ed è questa sensazione che mi stravolge l’anima..
N.B.: ogni riferimento a fatti e personaggi sembra non essere puramente casuale

Recensione di Maria Mazzara

L’isola dei tesori, dove gli animali sono preziosi

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