LUI È TORNATO Timur Vermes 

Lui è tornato

LUI È TORNATO, di Timur Vermes

Il male: da sempre uno dei temi più delicati, subdoli, sfuggenti e misteriosi da sviscerare.

 

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La figura di Adolf Hitler: forse quella che più di tutte ha incarnato, nella storia recente dell’umanità, il simbolo del male pressoché assoluto.

Quasi naturale conseguenza di tutto ciò: approfondire la figura di Adolf Hitler, non solo sul piano storico, ma anche su quello del vissuto personale, psicologico, umano (per quanto di umano in lui si possa trovare), è un compito che nel tempo ha messo a dura prova le capacità di moltissimi studiosi delle discipline più diverse.

L’arte del romanzo però, fra le armi più efficaci del proprio arsenale di indagine, ne custodisce una potentissima: la libertà di pensiero che si può sprigionare dalla forza dell’ironia pura.

È su questa eccezionale lente di ingrandimento esistenziale che si concentra il curioso e intelligente romanzo di Timur Vermes, “Lui è tornato”.

Da un evento totalmente immaginario, scaturiscono a valanga una serie di situazioni, che riescono a risultare forse ancor più realistiche della realtà.

 

Adolf Hitler si risveglia in un prato, in piena Berlino contemporanea. Non sa come mai si ritrovi lì: nella sua mente sono passati solo pochi attimi, da quanto ricorda delle ultime concitate circostanze nel bunker.

Ha indosso la fidata divisa, la quale puzza fortemente di benzina.

Da qui la storia prende il via delineandosi come un bizzarro Frankenstein narrativo: a un corpo di eventi dal sapore tutto odierno, viene innestata una testa dalla mentalità congelata in piena fine del secondo conflitto mondiale.

Il corto circuito che ne nasce assume di volta in volta il sapore del paradosso, dell’imbarazzo, del grottesco, dell’iperbole, fino a toccare in certi passaggi punte di esilarante comicità amara.

Il risultato più pregevole di tutta l’operazione romanzesca di Timur Vermes, risiede nella duplice efficacia narrativa che riesce a innescare nell’animo del lettore. Non solo mette in ridicolo il male e tutte le assurdità annidate in una mente malata di assolutismo, invitando a riflettere su questi argomenti complessi, ma allo stesso tempo riesce anche a far venire a galla le non poche assurdità della vita quotidiana dei giorni nostri.

Questo Hitler maldestro e “buffoneggiante” di Timur Vermes, con la sua stridente comicità preterintenzionale, sortisce lo stesso effetto viscido e curioso di un fiotto d’olio versato in un secchio d’acqua: l’impossibilità di mescolarsi dei due liquidi, affascina e trasmette senso di repulsione nel contempo.

 

Se mi è consentita una critica, a tratti il meccanismo del racconto azionato dall’autore si fa forse eccessivamente laborioso, perdendo l’immediatezza e la presa diretta sul lettore, che invece in certe pagine più felici sono efficacissime e di grande impatto.

Questo è probabilmente dovuto anche al fatto che gli episodi di finzione costruiti di volta in volta, presuppongono una conoscenza abbastanza accurata degli eventi sia storici, sia contemporanei tedeschi, per avere la miglior riuscita possibile dell’effetto paradossale ricercato dallo scrittore. Cosa che, in qualche passaggio, per mio limite personale, credo mi sia mancata.

In conclusione, forse non c’è modo migliore di riassumere l’effetto più pregevole, trasmesso dalla lettura di questo romanzo, se non facendo riferimento a un bellissimo concetto sostenuto dall’attore Peter Ustinov, che non a caso l’autore ha voluto riportare nella postfazione.

Il senso di questa idea, a mio avviso reso molto bene da tutto il dipanarsi delle vicende raccontate in “Lui è tornato”, è questo: il male assoluto si identifica con la totale, inflessibile, ottusa, “assenza di dubbi” che in talune circostanze si può insediare nell’animo umano, come una degenere “patologia  spirituale”.

Recensione di Angelo Gil Balocchi

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