MEMORIE DI ADRIANO, di Marguerite Yourcenar
Recensione 1
Il capolavoro della Marguerite già dall’acquisto mi ha procurato un senso d’inconscia soggezione convinta che il tema trattato non sarebbe stato adatto a far vibrare le corde del mio modesto fervore intellettuale, tediandomi a causa delle mie deboli conoscenze storiche e filosofiche…
L’approccio, quindi, è stato timido, lento, meditato, in sordina.
Paventavo un’inconfessata sorta di inadeguatezza di base. Sono una lettrice avida ma scarna di nozioni consolidate.
Ed eccomi invece di fronte l’immagine di uomo con virtù e difetti, che in in un tempo imperiale è stato sovrano: Imperatore stoico dalle robuste braccia e dall’anima vagante.
Ricercatore di quella bellezza che cementa le crepe delle alte mura e nell’eleganza della ruvida carezza scorgere l’atmosfera dell’aurea grandezza, percepire il profumo dell’immortalità.
Ho compreso come un uomo, nel frastuono della sua giovinezza, abbia attraverso gli instabili ponti con gambe ferme e, nel contempo, scorgere un incantevole tramonto; nella maturità avvertire con quanta dolorosa consapevolezza abbia mantenuto alti i suoi ideali ma fermarsi anche a contemplare una splendida aurora; percepire nella sofferenza della malattia la decadenza di un corpo ma non di un’anima, rimasta dolcemente elevata nella vaghezza della sua consistenza.
Adriano, nelle Memorie, si racconta spogliandosi delle vesti che man mano indossa rimanendo maestosamente nudo, vero, umano ma pur sempre, nel profondo, l’Imperatore del più grande impero di tutti i tempi, padrone fragile della sua vita proiettata in una grande visione di continuità: vestigia immortale, impronta che traccia un inevitabile percorso nelle generazioni future.
Un uomo che varca i confini con il passo da titano evitando di calpestare il sangue di quella multiforme e variegata massa di popoli che regge la città eterna, l’Urbe grandiosa e opulenta, capitale del suo impero.
Contenendo con il furore delle sue concrete aspirazioni le barbarie di ogni azione disumana volgarizzazione di ogni tempo, Adriano si racconta a noi tutti e a se stesso senza risparmiarci le sue umane debolezze, con la fierezza di chi sa, comunque, che ha osato credere nelle forme più alte di bellezza (Atene), di essersi umilmente eretto paladino della pace (mantenendo nell’armonia le conquiste di Traiano), aver bevuto nella fonte dell’ amore estremo e dei sensi (Antinoo) e assaporato l’intesa sublimale (Plotina), di aver conosciuto personalmente ciò che c’era da conoscere senza reticenze, scacciando gli spettri di ogni ignobile paura. Ascoltando ma non temendo le maldestre voci sibilline di un oracolo sfacciatamente profetico.
La vita è atroce, inspiegabilmente vacua, ma se nelle piege putrefatte di ferite infette riescono a crescere fiori, ergersi templi, scolpire volti, nulla è perduto e ogni cosa vale la pena di essere vissuta giacchè tramandata in quel lontano, prossimo futuro, come segnale percepito da menti elette in lotta contro l’oblio, spregevole villania contro ogni forma di vita umana.
Vi consiglio la lettura di questo libro, confessione intima ed esistenziale in cui un uomo, citato nei libri di storia, nei saggi, nelle biografie, si narra, si rivela, s’interroga, con la fatale presunzione di frantumarsi in tanti piccoli pezzi di cristallo iridescenti per poi ricomporsi in una grande armoniosa sfera, perfetto connubio tra grandezza umana assetata di bellezza di vita e conoscenza occulta di quel tratto divino che giace nella tremula anima evanescente.
Io non credevo che potessi respirare l’aria di quei secoli così distanti, sentire cosi vicino il pensiero di un imperatore romano lungo il percorso delle sue vicissitudini, scevra di quelle catene che mi rendono schiava delle mie incolmabili lacune, con la Yourcenar, che certamente stava più a cuore la bellezza della pagina che il rigore scientifico della ricerca, ci sono riuscita.
“Il nostro errore più grave è quello di cercare di destare in ciascuno proprio le qualità che non possiede, trascurando di coltivare quelle che ha
…e nella speranza di somigliare agli altri, attenuavo o accentuavo le caratteristiche della mia natura. Non ero molto amato, ma, del resto, che motivo c’era perché mi amassero?”
Recensione di Patrizia Zara
Recensione 2
Marguerite ha covato questo libro dentro di sé per 30 anni.
Ha iniziato a scriverlo poco più che ventenne ma, per sua stessa ammissione, questo è un romanzo che non si può osare prima dei quaranta.
L’ ha tenuto dentro se stessa, meditato, dimenticato, sognato, infine ritrovato; quando ha iniziato finalmente a realizzarlo si è messa a scrivere tutte le notti per poi tagliare e smussare le parti superflue ogni mattino; se così non fosse stato, oggi avremmo un volume di oltre mille pagine anziché uno di poco più di 250.
Fa venire in mente gli scultori che incidono il marmo; Michelangelo diceva che la statua era già dentro il blocco e che stava all’artista togliere il superfluo e liberare l’ essenziale, il capolavoro.
Questo libro è così: è stato lentamente scolpito e ha infine rivelato la sua grande bellezza.
Si tratta della storia biografica dell’imperatore Adriano, storia trattata con grande veridicità e attendibilità. È scritta in prima persona e devi fare uno sforzo per ricordarti che quella che leggi non è la voce del protagonista: l’ autrice è riuscita nella fatica immane di cancellare se stessa e l’ opera che ne risulta è molto più che credibile. È magnifica.
La figura di Adriano è semplicemente straordinaria, quella di un uomo che con un incessante lavoro interiore è riuscito a realizzare pienamente se stesso in un’ epoca unica: “quando gli dèi non c’erano più e Cristo non ancora, tra Cicerone e Marco Aurelio, c’è stato un momento unico in cui è esistito l’uomo, solo”.
Questo libro è un bagno nello spirito di quella età dell’ oro dove la razionalità, la logica, l’ amore per la bellezza, sono stati i fari che proteggevano dalle tenebre delle barbarie e del fanatismo.
Il grande sogno che è stata Roma.
E poi il mito commovente di Antinoo, i culti greci e romani che, con ignoranza, ho sempre ritenuto in qualche modo immaturi, con questi dèi capricciosi ma che invece, nella loro assenza di dogmi, lasciano grande spazio alle libertà personali e alle spiegazioni razionali dei fenomeni; l’ ombra della religione giudaica, in quella terra a cui Adriano darà il nome di Palestina, è vista come un pericolo per l’ umanità non meno di quei popoli barbari che premono sui confini orientali dell’ Impero.
È stata una bella rivelazione questo libro.
La parte finale è meravigliosa; si coglie tutta la difficoltà di lasciar andare la vita per un uomo che l’ ha amata e vissuta tanto intensamente.
Un uomo solo e, d’altro canto, legato a tutto.
Ho apprezzato moltissimo la scelta del suo successore, Marco Aurelio, nonostante egli abbia una personalità quasi in antitesi rispetto a quella di Adriano: austero il primo, edonista il secondo.
L’ imperatore non ha voluto una sterile fotocopia di sé e noi sappiamo bene oggi che è stata una scelta saggia.
“Tu non mi ami molto. Tu fiuti in me una saggezza opposta a quella che ti insegnano i tuoi maestri, e, nel mio abbandono ai sensi, un metodo di vita in antitesi alla severità del tuo, e che pur tuttavia gli è parallelo. Non importa: non è necessario che tu comprenda. Vi è più di una saggezza, e sono tutte necessarie al mondo: non è male che si alternino”.
Questo libro compare in qualsiasi lista de “i cento libri da leggere nella vita”.
Di sicuro entra nei miei primi 10, forse nei miei primi 5.
In attesa dell’ Opera al nero.
Recensione di Nicoletta Tamanini
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MEMORIE DI ADRIANO Marguerite Yourcenar
Piccola anima smarrita e soave,compagna e ospite del corpo,ora t’appresti a scendere in luoghi incolori, ardui e spogli, ove non avrai più gli svaghi consueti. Un istante ancora, guardiamo insieme le rive familiari, le cose che certamente non vedremo mai più…Cerchiamo d’entrare nella morte ad occhi aperti…