LUCY DAVANTI AL MARE Elisabeth Strout

LUCY DAVANTI AL MARE, di Elisabeth Strout (Einaudi – febbraio 2024)

Recensione 1

Questo è un romanzo dai toni crepuscolari, un po’ sommessi. La Strout si fa quasi fatica a ritrovarla ma lei sa prendersi i suoi tempi per narrare di Lucy e di tutta la famiglia di personaggi vecchi e nuovi. Non c’è bisogno di correre, perché spesso i tempi dell’elaborazione sono lenti e sicuramente soggettivi, intessuti di visioni, sogni, intuizioni. E di questo si parla poi in questo romanzo, cioè di come superare l’assenza di una persona cara, di come attendere per fare spazio dentro di sé per nuovi inizi, per ritrovare la fiammella del senso interiore e dell’orientamento. Questo è un romanzo a combustione lenta perché per una sua buona metà non sai dove Strout ti stia portando. La lasci fare, ovviamente, perché Strout è lei, anche in questa veste dimessa e disincantata. La sua prosa qui è a tal punto prosciugata da sembrare disincarnata. Mentre leggevo mi chiedevo, appunto, dove fosse il cuore. Ma l’ho lasciata fare, perché è la mia scrittrice preferita.

E attraverso i tempi di un adagio dolente e misurato, Strout ci ha portato per mano nella storia della pandemia, del lockdown che per molti è stato un viaggio dentro sé stessi. Lei ci ha raccontato del Maine, della natura scabra e scoscesa dove i tempi delle stagioni finiscono con il diventare i tempi dell’anima. Attraverso un mix di narrazione e sua sconfessione attraverso lo sfondamento della quarta parte Lucy ci ha raccontato il suo lookdown, la sua vedovanza, l’assenza e un riconoscersi complesso, labirintico e sempre ricco di umanità. E poi nella seconda parte l’ho ritrovata, ed è stato come incontrare una vecchia amica e scoprire che, nonostante i segni del tempo o forse proprio grazie a essi, era proprio lei, che dentro i sui occhi vive la sua storia e dentro il suo sguardo palpita la ferita del passato e la sua miracolosa cicatrice

Recensione di Marianna Guida

Recensione 2

Le persone entrano ed escono continuamente dalle nostre vite. Alcune ci feriscono irrimediabilmente, altre prendono semplicemente strade diverse dalla nostra. A volte siamo noi a ferire gli altri. Alcune persone restano per sempre, altre fanno improvvisamente ritorno, quando sembravano andate via una volta per tutte.
Vite che si incontrano, rimbalzano l’una contro l’altra, si allontanano, si riavvicinano, come palline da ping pong.
Mentre il mondo intero si prepara a vivere l’immaginabile, un virus che si espande a macchia d’olio costringendo le persone a stravolgere le proprie abitudini quotidiane, la scrittrice Lucy Barton si prepara a lasciare la sua casa di New York, per far ritorno con l’ex marito William nella natìa Shirley Falls, una piccola cittadina del Maine.
Verranno i giorni in cui la vita di George Floyd si spegnerà per sempre, spezzata sotto il peso del ginocchio di un agente di polizia che gli impedisce di respirare. Verranno i giorni della protesta post-elettorale, che sfocerà nel drammatico assalto a Capitol Hill.

Elizabeth Strout ha creato un piccolo universo, lungo il fiume che taglia in due la piccola cittadina costiera, a due passi dall’Oceano.
In questo suo piccolo mondo, come nella Paradise Falls di Don Robertson, i personaggi delle sue storie vanno e vengono, scompaiono a lungo per poi fare nuovamente capolino, come la vecchia Isabelle (sarà proprio lei, quella di “Amy e Isabelle”?); come Olive Kitteridge, protagonista del suo romanzo Premio Pulitzer; o ancora come Bob Burgess, indimenticabile personaggio del maestoso affresco dei “Ragazzi Burgess”, che in queste pagine accompagna Lucy nelle sue lunghe passeggiate ristoratrici.
Un mosaico costruito con estrema cura e pazienza, che si rivela al lettore con la grazia e la delicatezza di una penna dolcissima. Una voce, quella di Lucy, che rispecchia un animo nobile, gentile, che sembra seguire l’andamento delle maree, nella sua continua ricerca di felicità.

Momenti di tristezza profonda, in cui affiora il peso di un passato difficile, l’angoscia per questi tempi difficili, la preoccupazione per il futuro delle sue due meravigliose figlie; poi un sussulto, un lampo di luce, la ritrovata fiducia nel futuro e nel destino degli uomini.

Una marea che sale e che scende, questo il cuore dolce di Lucy.

Una donna che non smette di preoccuparsi e di occuparsi del prossimo, che non smette di immedesimarsi negli altri, chiedendosi in continuazione cosa ci sia nei loro cuori.

Una donna a cui non possiamo proprio smettere di voler bene.

Bentornata Lucy. Oh, Lucy…

Elizabeth Strout

“Lucy davanti al mare”

Recensione di Valerio Scarcia

Recensione 3

È senz’altro una caratteristica della scrittura di Elizabeth Strout, ma i suoi personaggi sembrano parlare ad ogni lettore personalmente. Lucy Barton non fa ovviamente eccezione. E anzi, specialmente in questo suo ultimo romanzo, il suo dialogo interiore corrisponde molto spesso ai processi mentali di chi legge.

Per chi ha già letto tutti i romanzi di Strout, leggere questo sarà come essere accolto a casa, visto che si è di fronte a vecchie conoscenze: Olive Kitteridge, William (ovviamente), Bob Burgess e la famiglia di Lucy. Il romanzo inizia nel 2020, con l’inizio dell pandemia e segue i tumultuosi anni che seguono. La narrazione di Lucy vaga da un argomento all’altro: la sua ritrovata vicinanza con William; la sua infedeltà quando erano sposati; problemi coniugali e di salute delle loro due figlie; la sua crescente amicizia con Bob Burgess; la ricomparsa a sorpresa della sorellastra di William, Lois; e ricordi dell’infanzia povera di Lucy, dei rapporti difficili con i suoi genitori e delle continue difficoltà con sua sorella Vicky.

E’ il romanzo più contemporaneo di Strout. È scritto magnificamente, pieno di descrizioni chiare e semplici. E forse è un promemoria della scrittrice per tutti noi: eravamo lì insieme e siamo sopravvissuti. Non tutti lo hanno fatto. Ma Lucy Barton lo ha fatto. E di questo possiamo – e dobbiamo – essere grati.

Recensione di Moreno Migliorati

Premio Bancarella 2010: OLIVE KITTERIDGE Elisabeth Strout

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